SE NON AMI (Nek)
Puoi decidere le strade che farai
puoi scalare le montagne oltre i limiti che hai
potrai essere qualcuno se ti va
ma se non ami
se non ami
non hai un vero motivo motivo per vivere
se non ami
non ti ami e non ci sei
se non ami
non ha senso tutto quello che fai
puoi creare un grande impero intorno a te
costruire grattaceli e contare un po' di più
puoi comprare tutto quello che vuoi tu
ma se non ami
se non ami
non hai un vero motivo per vivere
se non ami
non ti ami e non ci sei
se non ami
se non ami
non hai il senso delle cose più piccole
le certezze che non trovi e che non dai
l amore attende e non è invadente e non grida mai
se parli ti ascolta tutto sopporta crede in quel che fai
e chiede di esser libero alle volte
e quando torna indietro ti darà di più
se non ami
se non ami
tutto il resto sa proprio di inutile
se non ami
non ti ami
non ci sei...
senza amore noi non siamo niente mai...
Adorazione eucaristica
NEL TUO SILENZIO
Nel tuo silenzio accolgo
il mistero/ venuto a vivere dentro di me.
Sei tu che vieni, o
forse è più vero/ che tu mi accogli in te, Gesù.
Sorgente viva che nasce
nel cuore/ è questo dono che abita in me.
La tua presenza è un
Fuoco d'amore/ che avvolge l'anima mia, Gesù.
Ora il tuo Spirito in me
dice: "Padre",/ non sono io a parlare, sei tu.
Nell'infinito oceano di
pace/ tu vivi in me, io in te, Gesù.
Ubi caritas et amor, ubi caritas deus ibi est (da ripetere all'inizio di ogni capitolo)
Dall’AMORIS LAETITIA
(Sull’amore nella famiglia, cap.IV)
Nel cosiddetto inno alla carità
scritto da San Paolo(1 Cor 13,4-7), riscontriamo alcune
caratteristiche del vero amore:
«La carità è paziente, benevola è la carità; non è invidiosa, non
si vanta, non si gonfia d’orgoglio, non manca di rispetto, non cerca il proprio
interesse, non si adira, non
tiene conto del male ricevuto, non
gode dell’ingiustizia ma si
rallegra della verità. Tutto scusa, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta»
La “pazienza” (…) si mostra quando la
persona non si lascia guidare dagli impulsi ed evita di aggredire. È una
caratteristica del Dio dell’Alleanza (“lento all’ira e ricco di misericordia”)
che chiama ad imitarlo anche all’interno della vita familiare. (…) Nello stesso
tempo in cui si loda la moderazione di Dio al fine di dare spazio al
pentimento, si insiste sul suo potere che si manifesta quando agisce con
misericordia. La pazienza di Dio è esercizio di misericordia verso il peccatore
e manifesta l’autentico potere.
Essere pazienti non significa lasciare
che ci maltrattino continuamente, o tollerare aggressioni fisiche, o permettere
che ci trattino come oggetti. Il problema si pone quando pretendiamo che le
relazioni siano idilliache o che le persone siano perfette, o quando ci
collochiamo al centro e aspettiamo unicamente che si faccia la nostra volontà.
Allora tutto ci spazientisce, tutto ci porta a reagire con aggressività. Se non
coltiviamo la pazienza, avremo sempre delle scuse per rispondere con ira, e
alla fine diventeremo persone che non sanno convivere, antisociali incapaci di
dominare gli impulsi, e la famiglia si trasformerà in un campo di battaglia.
Per questo la Parola di Dio ci esorta: «Scompaiano da voi ogni asprezza,
sdegno, ira, grida e maldicenze con ogni sorta di malignità». Questa pazienza
si rafforza quando riconosco che anche l’altro possiede il diritto a vivere su
questa terra insieme a me, così com’è. Non importa se è un fastidio per me, se
altera i miei piani, se mi molesta con il suo modo di essere o con le sue idee,
se non è in tutto come mi aspettavo. L’amore comporta sempre un senso di
profonda compassione, che porta ad accettare l’altro come parte di questo
mondo, anche quando agisce in un modo diverso da quello che io avrei
desiderato.
(Parlando di benevolenza) Paolo vuole
mettere in chiaro che la “pazienza” nominata al primo posto non è un
atteggiamento totalmente passivo, bensì è accompagnata da un’attività, da una
reazione dinamica e creativa nei confronti degli altri. Indica che l’amore fa
del bene agli altri e li promuove. Perciò si traduce come “benevola”.
Nell’insieme del testo si vede che
Paolo vuole insistere sul fatto che l’amore non è solo un sentimento, ma che si
deve intendere nel senso che il verbo “amare” ha in ebraico, vale a dire: “fare
il bene”. Come diceva sant’Ignazio di Loyola, «l’amore si deve porre più nelle
opere che nelle parole». In
questo modo può mostrare tutta la sua fecondità, e ci permette di sperimentare
la felicità di dare, la nobiltà e la grandezza di donarsi in modo
sovrabbondante, senza misurare, senza esigere ricompense, per il solo gusto di
dare e di servire.
(…) Nell’amore non c’è posto per il
provare dispiacere a causa del bene dell’altro. L’invidia è una tristezza per
il bene altrui che dimostra che non ci interessa la felicità degli altri,
poiché siamo esclusivamente concentrati sul nostro benessere. Mentre l’amore ci
fa uscire da noi stessi, l’invidia ci porta a centrarci sul nostro io. Il vero
amore apprezza i successi degli altri, non li sente come una minaccia, e si
libera del sapore amaro dell’invidia. Accetta il fatto che ognuno ha doni
differenti e strade diverse nella vita. Dunque fa in modo di scoprire la
propria strada per essere felice, lasciando che gli altri trovino la loro.
In definitiva si tratta di adempiere
quello che richiedevano gli ultimi due comandamenti della Legge di Dio: «Non
desidererai la casa del tuo prossimo. Non desidererai la moglie del tuo
prossimo, né il suo schiavo né la sua schiava, né il suo bue né il suo asino,
né alcuna cosa che appartenga al tuo prossimo» (Es 20,17). L’amore ci porta a un sincero
apprezzamento di ciascun essere umano, riconoscendo il suo diritto alla
felicità. Amo quella persona, la guardo con lo sguardo di Dio Padre, che ci
dona tutto «perché possiamo goderne», e dunque accetto dentro di me che possa
godere di un buon momento. Questa stessa radice dell’amore, in ogni caso, è
quella che mi porta a rifiutare l’ingiustizia per il fatto che alcuni hanno
troppo e altri non hanno nulla, o quella che mi spinge a far sì che anche
quanti sono scartati dalla società possano vivere un po’ di gioia. Questo però
non è invidia, ma desiderio di equità.
(L’amore rifiuta) la vanagloria,
l’ansia di mostrarsi superiori per impressionare gli altri con un atteggiamento
pedante e piuttosto aggressivo. Chi ama, non solo evita di parlare troppo di sé
stesso, ma inoltre, poiché è centrato negli altri, sa mettersi al suo posto,
senza pretendere di stare al centro. (…) L’amore non è arrogante, non si “ingrandisce”
di fronte agli altri. (…) Ci si considera più grandi di quello che si è perché
ci si crede più “spirituali” o “saggi”. Paolo usa questo verbo altre volte, per
esempio per dire che «la conoscenza riempie di orgoglio, mentre l’amore
edifica». Vale a dire, alcuni si credono grandi perché sanno più degli altri, e
si dedicano a pretendere da loro e a controllarli, quando in realtà quello che
ci rende grandi è l’amore che comprende, cura, sostiene il debole. (…)
(…) Gesù ricordava ai suoi discepoli
che nel mondo del potere ciascuno cerca di dominare l’altro, e per questo dice
loro: «tra voi non sarà così». La logica dell’amore cristiano non è quella di
chi si sente superiore agli altri e ha bisogno di far loro sentire il suo
potere, ma quella per cui «chi vuole diventare grande tra voi, sarà vostro
servitore». Nella vita familiare non può regnare la logica del dominio degli
uni sugli altri, o la competizione per vedere chi è più intelligente o potente,
perché tale logica fa venir meno l’amore. Vale anche per la famiglia questo
consiglio: «Rivestitevi tutti di umiltà gli uni verso gli altri, perché Dio
resiste ai superbi, ma dà grazia agli umili».
Amare significa anche rendersi amabili:
l’amore non opera in maniera rude, non agisce in modo scortese, non è duro nel
tratto. I suoi modi, le sue parole, i suoi gesti, sono gradevoli e non aspri o
rigidi. Detesta far soffrire gli altri. (…)
Per disporsi ad un vero incontro con
l’altro, si richiede uno sguardo amabile posato su di lui. Questo non è
possibile quando regna un pessimismo che mette in rilievo i difetti e gli
errori altrui, forse per compensare i propri complessi. Uno sguardo amabile ci
permette di non soffermarci molto sui limiti dell’altro, e così possiamo
tollerarlo e unirci in un progetto comune, anche se siamo differenti. L’amore
amabile genera vincoli, coltiva legami, crea nuove reti d’integrazione, costruisce
una solida trama sociale. (…) Una persona antisociale crede che gli altri
esistano per soddisfare le sue necessità, e che quando lo fanno compiono solo
il loro dovere. Dunque non c’è spazio per l’amabilità dell’amore e del suo
linguaggio. Chi ama è capace di dire parole di incoraggiamento, che confortano,
che danno forza, che consolano, che stimolano. Vediamo, per esempio, alcune
parole che Gesù diceva alle persone: «Coraggio figlio!». «Grande è la tua
fede!». «Alzati!». «Va’ in pace». «Non abbiate paura». Non sono parole che
umiliano, che rattristano, che irritano, che disprezzano. Nella famiglia
bisogna imparare questo linguaggio amabile di Gesù.
Abbiamo detto molte volte che per
amare gli altri occorre prima amare sé stessi. Tuttavia, questo inno all’amore
afferma che l’amore “non cerca il proprio interesse”, o che “non cerca quello
che è suo”. Questa espressione si usa pure in un altro testo: «Ciascuno non
cerchi l’interesse proprio, ma anche quello degli altri». Davanti ad
un’affermazione così chiara delle Scritture, bisogna evitare di attribuire
priorità all’amore per sé stessi come se fosse più nobile del dono di sé stessi
agli altri. Una certa priorità dell’amore per sé stessi può intendersi
solamente come una condizione psicologica, in quanto chi è incapace di amare sé
stesso incontra difficoltà ad amare gli altri: «Chi è cattivo con sé stesso con
chi sarà buono? [...] Nessuno è peggiore di chi danneggia sé stesso».
Però lo stesso Tommaso d’Aquino ha
spiegato che «è più proprio della carità voler amare che voler essere amati» e che, in effetti, «le madri, che sono
quelle che amano di più, cercano più di amare che di essere amate». Perciò l’amore può spingersi oltre la
giustizia e straripare gratuitamente, «senza sperarne nulla», fino ad arrivare
all’amore più grande, che è «dare la vita» per gli altri. È ancora possibile
questa generosità che permette di donare gratuitamente, e di donare sino alla
fine? Sicuramente è possibile, perché è ciò che chiede il Vangelo:
«Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date».
Se la prima espressione dell’inno ci
invitava alla pazienza che evita di reagire bruscamente di fronte alle
debolezze o agli errori degli altri, adesso ci si riferisce ad una reazione
interiore di indignazione provocata da qualcosa di esterno. Si tratta di una
violenza interna, di una irritazione non manifesta che ci mette sulla difensiva
davanti agli altri, come se fossero nemici fastidiosi che occorre evitare.
Alimentare tale aggressività intima non serve a nulla. Ci fa solo ammalare e
finisce per isolarci. L’indignazione è sana quando ci porta a reagire di fronte
a una grave ingiustizia, ma è dannosa quando tende ad impregnare tutti i nostri
atteggiamenti verso gli altri.
Il Vangelo invita piuttosto a guardare
la trave nel proprio occhio, e come cristiani non possiamo ignorare il costante
invito della Parola di Dio a non alimentare l’ira: «Non lasciarti vincere dal
male». «E non stanchiamoci di fare il bene». Una cosa è sentire la forza
dell’aggressività che erompe e altra cosa è acconsentire ad essa, lasciare che
diventi un atteggiamento permanente: «Adiratevi, ma non peccate; non tramonti
il sole sopra la vostra ira». Perciò, non bisogna mai finire la giornata senza
fare pace in famiglia. (…)
Se permettiamo ad un sentimento
cattivo di penetrare nelle nostre viscere, diamo spazio a quel rancore che si
annida nel cuore. Il contrario è il perdono, un perdono fondato su un
atteggiamento positivo, che tenta di comprendere la debolezza altrui e prova a
cercare delle scuse per l’altra persona, come Gesù che disse: «Padre, perdona
loro perché non sanno quello che fanno». Invece la tendenza è spesso quella di
cercare sempre più colpe, di immaginare sempre più cattiverie, di supporre ogni
tipo di cattive intenzioni, e così il rancore va crescendo e si radica. In tal
modo, qualsiasi errore o caduta del coniuge può danneggiare il vincolo d’amore
e la stabilità familiare. Il problema è che a volte si attribuisce ad ogni cosa
la medesima gravità, con il rischio di diventare crudeli per qualsiasi errore
dell’altro. La giusta rivendicazione dei propri diritti si trasforma in una
persistente e costante sete di vendetta più che in una sana difesa della
propria dignità.
Quando siamo stati offesi o delusi, il
perdono è possibile e auspicabile, ma nessuno dice che sia facile. (…) Oggi
sappiamo che per poter perdonare abbiamo bisogno di passare attraverso
l’esperienza liberante di comprendere e perdonare noi stessi. Tante volte i
nostri sbagli, o lo sguardo critico delle persone che amiamo, ci hanno fatto
perdere l’affetto verso noi stessi. Questo ci induce alla fine a guardarci
dagli altri, a fuggire dall’affetto, a riempirci di paure nelle relazioni
interpersonali. Dunque, poter incolpare gli altri si trasforma in un falso
sollievo. C’è bisogno di pregare con la propria storia, di accettare sé stessi,
di saper convivere con i propri limiti, e anche di perdonarsi, per poter avere
questo medesimo atteggiamento verso gli altri. Ma questo presuppone
l’esperienza di essere perdonati da Dio, giustificati gratuitamente e non per i
nostri meriti. Siamo stati raggiunti da un amore previo ad ogni nostra opera,
che offre sempre una nuova opportunità, promuove e stimola. Se accettiamo che
l’amore di Dio è senza condizioni, che l’affetto del Padre non si deve comprare
né pagare, allora potremo amare al di là di tutto, perdonare gli altri anche
quando sono stati ingiusti con noi. Diversamente, la nostra vita in famiglia
cesserà di essere un luogo di comprensione, accompagnamento e stimolo, e sarà
uno spazio di tensione permanente e di reciproco castigo.
(…) Ci si rallegra per il bene
dell’altro, quando viene riconosciuta la sua dignità, quando si apprezzano le
sue capacità e le sue buone opere. Questo è impossibile per chi deve sempre paragonarsi
e competere, anche con il proprio coniuge, fino al punto di rallegrarsi
segretamente per i suoi fallimenti.
Quando una persona che ama può fare
del bene a un altro, o quando vede che all’altro le cose vanno bene, lo vive
con gioia e in quel modo dà gloria a Dio, perché «Dio ama chi dona con gioia»,
nostro Signore apprezza in modo speciale chi si rallegra della felicità
dell’altro. Se non alimentiamo la nostra capacità di godere del bene dell’altro
e ci concentriamo soprattutto sulle nostre necessità, ci condanniamo a vivere
con poca gioia, dal momento che, come ha detto Gesù, «si è più beati nel dare
che nel ricevere!». La famiglia dev’essere sempre il luogo in cui chiunque
faccia qualcosa di buono nella vita, sa che lì lo festeggeranno insieme a lui.
L’espressione “tutto scusa” si
differenzia da “non tiene conto del male”, perché questo termine ha a che
vedere con l’uso della lingua; può significare “mantenere il silenzio” circa il
negativo che può esserci nell’altra persona. Implica limitare il giudizio,
contenere l’inclinazione a lanciare una condanna dura e implacabile. «Non
sparlate gli uni degli altri, fratelli». Soffermarsi a danneggiare l’immagine
dell’altro è un modo per rafforzare la propria, per scaricare i rancori e le
invidie senza fare caso al danno che causiamo. Molte volte si dimentica che la
diffamazione può essere un grande peccato, una seria offesa a Dio, quando
colpisce gravemente la buona fama degli altri procurando loro dei danni molto
difficili da riparare. Per questo la Parola di Dio è così dura con la lingua,
dicendo che «contagia tutto il corpo e incendia tutta la nostra vita». L’amore
si prende cura dell’immagine degli altri, con una delicatezza che porta a
preservare persino la buona fama dei nemici.
Gli sposi che si amano e si appartengono,
parlano bene l’uno dell’altro, cercano di mostrare il lato buono del coniuge al
di là delle sue debolezze e dei suoi errori. In ogni caso, mantengono il
silenzio per non danneggiarne l’immagine. Ricorda che tali difetti sono solo
una parte, non sono la totalità dell’essere dell’altro. Un fatto sgradevole
nella relazione non è la totalità di quella relazione. Dunque si può accettare
con semplicità che tutti siamo una complessa combinazione di luci e ombre.
L’altro non è soltanto quello che a me dà fastidio. È molto più di questo. Per
la stessa ragione, non pretendo che il suo amore sia perfetto per apprezzarlo.
Mi ama come è e come può, con i suoi limiti, ma il fatto che il suo amore sia
imperfetto non significa che sia falso o che non sia reale. È reale, ma
limitato e terreno.
(…) Non si tratta soltanto di non
sospettare che l’altro stia mentendo o ingannando. (…) Questa fiducia rende possibile
una relazione di libertà. Non c’è bisogno di controllare l’altro, di seguire
minuziosamente i suoi passi, per evitare che sfugga dalle nostre braccia.
L’amore ha fiducia, lascia in libertà, rinuncia a controllare tutto, a
possedere, a dominare. Questa libertà, che rende possibili spazi di autonomia,
apertura al mondo e nuove esperienze, permette che la relazione si arricchisca.
In tal modo i coniugi, ritrovandosi, possono vivere la gioia di condividere quello
che hanno ricevuto e imparato al di fuori del cerchio familiare. Nello stesso
tempo rende possibili la sincerità e la trasparenza, perché quando uno sa che
gli altri confidano in lui e ne apprezzano la bontà di fondo, allora si mostra
com’è, senza occultamenti. Uno che sa che sospettano sempre di lui, che lo
giudicano senza compassione, che non lo amano in modo incondizionato, preferirà
mantenere i suoi segreti, nascondere le sue cadute e debolezze, fingersi quello
che non è. Viceversa, una famiglia in cui regna una solida e affettuosa
fiducia, e dove si torna sempre ad avere fiducia nonostante tutto, permette che
emerga la vera identità dei suoi membri e fa sì che spontaneamente si rifiuti
l’inganno, la falsità e la menzogna.
Spera, cioè non dispera del futuro. In
connessione con la parola precedente, indica la speranza di chi sa che l’altro
può cambiare. Spera sempre che sia possibile una maturazione, un sorprendente
sbocciare di bellezza, che le potenzialità più nascoste del suo essere germoglino
un giorno. Non vuol dire che tutto cambierà in questa vita. Implica accettare
che certe cose non accadano come uno le desidera, ma che forse Dio scriva
diritto sulle righe storte di quella persona e tragga qualche bene dai mali che
essa non riesce a superare in questa terra. Qui si fa presente la speranza nel
suo senso pieno, perché comprende la certezza di una vita oltre la morte.
Quella persona, con tutte le sue debolezze, è chiamata alla pienezza del Cielo.
Là, completamente trasformata dalla risurrezione di Cristo, non esisteranno più
le sue fragilità, le sue oscurità né le sue patologie. Là l’essere autentico di
quella persona brillerà con tutta la sua potenza di bene e di bellezza. Questo
altresì ci permette, in mezzo ai fastidi di questa terra, di contemplare quella
persona con uno sguardo soprannaturale, alla luce della speranza, e attendere
quella pienezza che un giorno riceverà nel Regno celeste, benché ora non sia
visibile.
Sopportare con spirito positivo tutte
le contrarietà significa mantenersi saldi nel mezzo di un ambiente ostile. Non
consiste soltanto nel tollerare alcune cose moleste, ma in qualcosa di più
ampio: una resistenza dinamica e costante, capace di superare qualsiasi sfida.
È amore malgrado tutto, anche quando tutto il contesto invita a un’altra cosa.
Manifesta una dose di eroismo tenace, di potenza contro qualsiasi corrente
negativa, una opzione per il bene che niente può rovesciare.
Nella
vita familiare c’è bisogno di coltivare questa forza dell’amore, che permette
di lottare contro il male che la minaccia. L’amore non si lascia dominare dal
rancore, dal disprezzo verso le persone, dal desiderio di ferire o di far
pagare qualcosa. L’ideale cristiano, e in modo particolare nella famiglia, è
amore malgrado tutto. A volte ammiro, per esempio, l’atteggiamento di persone
che hanno dovuto separarsi dal coniuge per proteggersi dalla violenza fisica, e
tuttavia, a causa della carità coniugale che sa andare oltre i sentimenti, sono
stati capaci di agire per il suo bene, benché attraverso altri, in momenti di
malattia, di sofferenza o di difficoltà. Anche questo è amore malgrado tutto.
PREGHIAMO
Donaci, o Padre, la luce della
fede e la fiamma del tuo amore,
perché adoriamo in spirito e verità il nostro Dio e Signore, Cristo Gesù,
presente in questo santo sacramento. Egli vive e regna nei secoli dei secoli.
R. Amen.
perché adoriamo in spirito e verità il nostro Dio e Signore, Cristo Gesù,
presente in questo santo sacramento. Egli vive e regna nei secoli dei secoli.
R. Amen.
ADORIAMO IL SACRAMENTO
Adoriamo il Sacramento/ che Dio Padre ci donò.
Nuovo patto, nuovo rito/ nella fede si compì.
Al mistero è fondamento/ la parola di Gesù.
Nuovo patto, nuovo rito/ nella fede si compì.
Al mistero è fondamento/ la parola di Gesù.
Gloria al Padre Onnipotente,/ gloria al Figlio Redentor;
lode grande, sommo onore/ all’Eterna Carità.
Gloria immensa, eterno amore/ alla Santa Trinità. Amen.
lode grande, sommo onore/ all’Eterna Carità.
Gloria immensa, eterno amore/ alla Santa Trinità. Amen.
Rosario di coppia
I
decina: preghiamo per i familiari e i parenti;
II
decina: preghiamo per gli amici;
III
decina: preghiamo per le persone che sono malate o in difficoltà, per coloro
che incontriamo a lavoro, sport o altri luoghi di interesse;
IV
decina: preghiamo per la Chiesa (Papa, vescovo, sacerdoti incontrati nella
vita, catechisti, comunità parrocchiale, missionari, religiosi, vocazioni…) e
per il mondo (per il nostro paese, per quelli in guerra…)
V
decina: preghiamo per noi (per il nostro presente e il nostro futuro, per
alcuni desideri particolari…)
PADRE
NOSTRO + 10 AVE MARIA + GLORIA AL PADRE + “Regina della famiglia-prega per noi”
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