L’amore è una realtà meravigliosa,

è l’unica forza che può veramente trasformare il cosmo, il mondo!

(Benedetto XVI)



lunedì 20 febbraio 2017

10- PERCHE' DIO CI HA CREATI?


Abbiamo introdotto il tema e diviso il gruppo in due parti, ciascuna parte con uno dei brani della Genesi sulla creazione dell'umanità.
Ogni gruppo era chiamato a riassumere e tradurre in immagini (senza parole) il brano in esame. E' un modo per farli riflettere su un testo divertendosi insieme. E in effetti quello che doveva essere un lavoro di circa 15' è diventato il contenuto dell'incontro (non siamo riusciti a bloccarli!) rimandando alla settimana successiva l'approfondimento dei testi.



Ø  Perché Dio ci ha creati?
La Genesi
Il riferimento biblico più noto e importante per parlare di sessualità è contenuto nel libro della Genesi dove si parla della creazione del mondo e si chiarisce come nel creato non ci sia nulla, di per sé, di “cattivo”, di “peccaminoso”. Tutto è creato da Dio e tutto è “buono”: le bestie feroci, i fenomeni naturali possono essere nocivi, ma mai malvagi. La cattiveria è solo dell’uomo che possiede la libertà e la consapevolezza del valore morale del suo agire. Lo scopriamo dietro il racconto della creazione dell’uomo (l’adam, ovvero l’umanità ancora indifferenziata) e di come (o meglio perché) Dio distingue l’essere umano in maschio (Adamo) e femmina (Eva). La sessualità è dunque voluta e creata da Dio: è positiva, “molto buona” e legata all’essere ad immagine di Dio.
Dio disse: «Facciamo l'uomo a nostra immagine, secondo la nostra somiglianza… E Dio creò l'uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò: maschio e femmina li creò. Dio li benedisse e Dio disse loro: «Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra e soggiogatela. (Gen 1,26-28)
Fiumi di inchiostro sono stati versati per commentare questi versetti. Io mi limito a sottolineare alcuni punti: il fatto che l’uomo (al singolare) è l’unico essere creato a immagine e somiglianza di Dio, in quanto libero, capace di vivere in comunione, di tendere alla perfezione… Quest’uomo creato ad immagine di Dio è creato maschio e femmina (al plurale): due generi distinti chiamati alla fecondità e all’unità; due metà che hanno bisogno l’uno dell’altra per trovare pienezza e senso.
Il secondo racconto della creazione aggiunge altri particolari:
E il Signore Dio disse: «Non è bene che l'uomo sia solo: voglio fargli un aiuto che gli corrisponda». (…) Così l'uomo impose nomi a tutto il bestiame, (…) ma non trovò un aiuto che gli corrispondesse. Allora il Signore Dio fece scendere un torpore sull'uomo, che si addormentò; gli tolse una delle costole e richiuse la carne al suo posto. Il Signore Dio formò con la costola, che aveva tolta all'uomo, una donna e la condusse all'uomo. Allora l'uomo disse: «Questa volta è osso dalle mie ossa, carne dalla mia carne. La si chiamerà donna, perché dall'uomo è stata tolta». Per questo l'uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie, e i due saranno un'unica carne. Ora tutti e due erano nudi, l'uomo e sua moglie, e non provavano vergogna. (Gen 2,18-25)
Non è bene che l’uomo sia solo”: non è stato creato per la solitudine, ma per la comunione, per l’amore. Per questo lo crea maschio e femmina, due generi che trovano pienezza e complementarietà solo unendosi. Reciprocamente l’uomo è per donna e la donna per l’uomo “l’aiuto che gli corrisponde”, letteralmente “che gli sta di fronte”, grazie al quale io prendo coscienza di me stesso. Un aiuto che suppone uguaglianza: gli animali possono fare compagnia all’uomo, ma non possono entrare in comunione con lui. Perché si posa avere un rapporto interpersonale, l’uomo necessita di un altro simile a sé, che gli corrisponda e lo completi: la donna è della stessa natura e dignità dell’uomo. La costitutiva incompletezza della persona è ciò che la rende bisognosa dell’altro e di Dio. Questa sua “mancanza” è ciò che la spinge a realizzare il sogno di Dio: sogno di comunione, di amore reciproco che ha in Dio la sua sorgente e in Lui il suo fine. Dio crea l’umanità in maschile e femminile non tanto (e non solo) per procreare dei figli, ma perché sperimentino la gioia dell’essere “un’unica carne”, di essere uniti in profondità. L’uomo, nel conoscere la donna, esprime la prima parola con stupore, gioia e meraviglia: “è osso dalle mie ossa, carne dalla mia carne”! Il Talmud commenta: la donna è uscita dalla costola dell’uomo, non dai suoi piedi perché debba essere pestata, né dalla testa per essere superiore, ma dal fianco per essere uguale… un po’ più in basso del braccio per essere protetta e dal lato del cuore per essere amata.
San Tommaso ipotizza che i progenitori non ebbero il tempo di unirsi carnalmente nel paradiso terrestre, perché ne furono presto scacciati a causa del peccato. Ma – prosegue l’aquinate – se ne avessero avuto il tempo, si sarebbero certo uniti carnalmente e non – come dicono alcuni – senza piacere, ma anzi con un piacere molto maggiore di quello che proviamo noi, perché “il piacere è tanto più grande, quanto più pura la natura e più sensibile il corpo”[1]. Commenta Hadjadj:
L’innocenza non risiede in un amore disincarnato! Ma, precisa il grande dottore citando S. Agostino, senza il peccato originale “le membra avrebbero obbedito come le altre, seguendo la volontà, senza il pungolo di una passione seduttrice, in piena tranquillità di anima e di corpo”. Più avanti, aggiunge che l’intelligenza non sarebbe annegata nel ribollire della libidine, e che questa ragione sopravvissuta, lungi dal raffreddare il piacere, l’avrebbe sollevato verso una gioia più alta. Questa dottrina della Chiesa è letteralmente sbalorditiva. Quanti diffondono l’idea che il peccato originale deriva dall’unione dei sessi si barricano dietro una maldicenza ignorante. Secondo Tommaso è lecito pensare l’esatto contrario: se Adamo ed Eva si fossero “conosciuti” in questo purissimo atto carnale, scoprendo la gioia ineffabile di una comunione senza ombre sarebbero stati immunizzati contro la tentazione dello spirito impuro[2].
Siamo stati creati liberi perché Dio avesse qualcuno in grado di corrispondere al suo amore. E’ quanto afferma Ireneo di Lione: “Dio non plasmò Adamo perché avesse bisogno dell’uomo, ma per avere qualcuno nel quale deporre i suoi doni”[3]. Ma la libertà si è subito mostrata per l’essere umano un dono prezioso e pericoloso: siamo liberi di non accogliere e di non corrispondere all’amore di Dio, liberi di metterlo da parte, di rifiutarlo per mettere l’amor proprio al primo posto.
Dio crea per amore
“Dio non plasmò Adamo perché avesse bisogno dell’uomo, ma per avere qualcuno nel quale deporre i suoi doni”(Ireneo di Lione)[i].
“Perché ci ha creati Dio?”: così suonava la seconda domanda del catechismo di una volta, e la risposta era: “Per conoscerlo, amarlo e servirlo in questa vita e goderlo poi nell’altra in paradiso”. Risposta ineccepibile, ma parziale. Essa risponde alla domanda sulla causa finale: “per quale scopo, a che fine ci ha creati Dio”; non risponde alla domanda sulla causa causante: “perché ci ha creati, che cosa lo ha spinto a crearci”. A questa domanda non si deve rispondere: “perché lo amassimo”, ma “perché ci amava”.
Così risponde alla stessa domanda Youcat, il catechismo dei giovani del 2011: “Dio ci ha creati per un atto di amore libero e disinteressato”. E chiarisce:
Quando un uomo ama, il suo cuore trabocca di questo amore, e vorrebbe condividere la sua gioia con gli altri; questa caratteristica l’ha ereditata dal suo Creatore. Anche se Dio è un mistero, coi mezzi umani possiamo pensare e dire che egli ci ha creati per il suo amore sovrabbondante: egli voleva condividere la sua gioia infinita con noi, che siamo creature del suo amore[ii].
In questo sta l’amore: non siamo stati noi ad amare Dio ma è lui che ha amato noi” (1 Gv 4, 10). Da questo dipende tutto il resto, compresa la nostra stessa possibilità di amare Dio: “Noi amiamo, perché egli ci ha amati per primo” (1 Gv 4, 19)
L’intera Bibbia non è altro che una lunga e appassionata lettera d’amore che Dio scrive all’umanità sua “sposa”: il libro della Genesi e quello dell’Apocalisse formano come una grande inclusione, un unico arco che parte da Adamo ed Eva e giunge all’agnello sgozzato che è lo Sposo apocalittico e alla Sposa celeste pronta per l’incontro con il suo Sposo. Un arco che dunque unisce una coppia iniziale (protologia) e una coppia finale (escatologia)[iii].
Nelle Sacre Scritture non ci viene presentato un Dio come risultato di elaborazioni mentali, ma viene narrato un Dio appassionato dell’uomo: “Tu sei prezioso ai miei occhi, hai valore e io ti amo” (Is. 43,4). La Scrittura celebra l’incontro tra il Creatore e la sua creatura, tra Dio, follemente innamorato dell’uomo, e quest’ultimo capace di resistere al fascino e alla bellezza della sua bontà con il tradimento del peccato, che è il rifiuto dell’amore di Dio nell’infedeltà verso altri idoli. Ma Dio non si arrende mai, seduce il duro cuore della sua creatura prediletta e non si lascia scoraggiare da quella negazione di amore che è il peccato. Così il profeta Geremia può dire: “Mi hai sedotto, Signore, e ho ceduto alla seduzione; mi hai fatto forza e hai prevalso” (Ger. 20,7). Seguiamo il ragionamento di Enzo Bianchi:
Dio ci ha creati per avere con noi una relazione d’amore, per avere davanti a sé qualcuno a cui offrire i suoi doni meravigliosi – come affermava Ireneo di Lione –, il Dio che il Nuovo Testamento, dopo il racconto fattone da Gesù, definisce “agápe, amore” (1Gv 4,8.16), non è soprattutto il partner nella storia d’amore con noi, con l’umanità? Che storia! Una storia d’amore in cui ci sono misconoscimenti, tradimenti, conflitti, negazioni; una storia in cui il Dio creatore, il Dio donatore di tutto si fa mendicante d’amore presso il suo popolo che lo tradisce e che giunge a prostituirsi, ad avere altri amanti. In questa storia il Dio creatore è vulnerabile: soffre per l’amore non corrisposto, è frustrato dalle non risposte del partner amato, è geloso di questo amato così litigioso e pronto all’infedeltà, un amato che non corrisponde. È una storia in cui ci sono state le stagioni dell’amore c’è stata la primavera, l’innamoramento; poi la stagione dell’amplesso, dell’unione dei partner e della celebrazione nell’alleanza dell’amore; ma poi anche la lunga stagione dell’infedeltà, dell’aridità dell’amore e delle passioni dell’amato per nuovi amanti[iv].
La storia della salvezza si può dunque leggere come la storia di come Dio ha amato il suo popolo di un amore insieme quasi umano e sovraumano.



[1] Tommaso d’Aquino, Summa Teologica, I, q.98, a.2
[2] F. Hadjadj, Mistica della carne, 2009, p.68
[3] Ireneo di Lione, Contro le eresie, IV, 14,1.




[i] Ireneo di Lione, Contro le eresie, IV, 14,1
[ii] Youcat, n.2. Così anche, più sinteticamente, si esprime il Catechismo della Chiesa Cattolica (293): “Dio non ha altro motivo per creare se non il suo amore e la sua bontà”.
[iii] Cfr. G. Mazzanti in Teologia nuziale e sacramento degli sposi (a cura di R. Bonetti), Effatà ed., 2003, p.11.
[iv] E. Bianchi, Si può amare anche senza essere amati, La Stampa, 01.09.2013

DIO CI HA CREATI A SUA IMMAGINE
Fondamentale è l’analisi del racconto della creazione dell’umanità riportato in due versioni differenti nella Genesi. Centrale è l’affermazione “E Dio creò l’uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò: maschi e femmina li creò” (Gen.1,27).
L’uomo è l’unico essere fatto a immagine e somiglianza di Dio: la sua creazione segna il culmine all’interno dell’intera opera creazionale. Ma che cosa significa che l’uomo è a immagine di Dio? Dio crea una creatura con cui possa parlare e che lo possa ascoltare: egli decide di creare ciò che può avere una relazione con lui, che può essere partner di un rapporto, di un dialogo[i]
Davanti a Dio non c’è un individuo, ma “adam”, l’umanità, il genere umano, tant’è vero che il comando di dominare che gli è rivolto è al plurale: “Dominino”.
L’umanità viene poi differenziata in maschile e femminile: due esseri della stessa natura (umana), ma complementari, con una differenza manifesta che è la sessualità[ii]. In ciascuno vi è perciò un’unità e nello stesso tempo dualità. C’è unità perché l’uomo è uno, c’è dualità perché questa unità si differenzia in maschile e femminile.
Vi è una significativa alternanza tra singolare e plurale in Gen 1,27: Dio creò l’uomo a sua immagine,  a immagine di Dio lo creò,  maschio e femmina li creò. Un’interpretazione molto diffusa di questo passo vede nella coppia uomo-donna la realizzazione dell’immagine e somiglianza di Dio. Quindi è la coppia che porta l’immagine e la somiglianza di Dio ed è la realtà che più si avvicina e rappresenta Dio. 
Il racconto della Genesi prosegue con questo avvertimento di Dio: “Non è bene che l’uomo sia solo” (Gen.2,18). Si evidenzia così l’indigenza, il bisogno, la mancanza che caratterizza l’uomo senza relazioni: l’uomo necessita di un partner corrispondente e adeguato. La relazione con l’altro è essenziale per la relazione con Dio.
Commenta Enzo Bianchi:
L’uomo e la donna sono fatti l’uno per l’altro, ma al tempo stesso l’uomo è un problema per la donna e la donna è un problema per l’uomo ed è il quotidiano che fa emergere la differenza conflittuale che abita l’alterità uomo-donna. Questa diversità e questa dimensione conflittuale vanno assolutamente accettate: la via dell’ibrido, dell’unisex, dell’androgino, che appare un dato culturale oggi diffuso, è un tentativo di misconoscere questa alterità che turba e di rimuoverla. Bisogna invece affermare e riconoscere che uomo e donna sono realmente differenti. Il loro reciproco rapporto non può conoscere altra via che quella della sottomissione reciproca, non quella dell’annullamento della differenza e dell’alterità[iii].
Dio che ha creato ogni cosa vi ha impresso il suo timbro d’origine (e di fine/finalità): Dio è Amore e ogni realtà vive per amore e per amare. Tutto ciò che muove l’uomo e lo caratterizza in quanto uomo è l’amore. La sintesi di tutto ciò che Gesù ha comunicato e ha fatto, la sintesi di tutto il Vangelo è costituita dalla realtà dell’amore. Da questa realtà, dice Gesù, “dipende tutta la legge e i profeti”, cioè tutta la Scrittura.
Tutti i comandamenti, in qualsiasi ordine considerati, vanno sempre osservati e praticati tenendo come prospettiva fondamentale quella dell’amore. (…) Cristo non propone ai suoi fedeli una legge composta da tanti commi, propone invece un atteggiamento fondamentale, radicale, totale, assoluto di donazione, che è quello dell’amore[1].
Il Nuovo Testamento viene ad illuminare proprio questa realtà e la vita di Gesù viene a rivelare questa origine e questo fine (dell’uomo e del cosmo intero), la strada da percorrere per giungere a tale orizzonte di vita eterna, gli strumenti per superare le fragilità e le per-versioni  - cioè i sentieri diversi che rischiamo di prendere – i blocchi e le paure.
Gesù riprende dalla Scrittura il duplice comando dell’amore: un amore a Dio totale (con tutta la tua vita: cuore, anima, mente e forza) e un amore al prossimo relativo: ama il prossimo come ami te. Ne conseguiva però che ogni qualvolta ci si trovava in conflitto tra l’amore per Dio e l’amore per l’uomo, l’amore per Dio (assoluto) venisse prima del bene dell'uomo (relativo): si doveva rispettare la legge di Dio anche a discapito dell’uomo che potrebbe soffrirne (vedi le polemiche sul sabato). Gesù è venuto per correggere questa deformazione: Dio ci ama e vuole il nostro bene, non il nostro sacrificio o la nostra sofferenza, tanto meno il sacrificio fatto fare – nel nome di Dio! – agli altri, la sofferenza imposta agli altri. Con il comandamento “nuovo” Gesù ci inviterà ad accogliere l’amore di Dio per amarci reciprocamente. Ci chiederà di fare come ha fatto lui: lasciarci amare da Dio per amare ogni persona.
Una bella sintesi di tutto ciò ce la offre Enzo Bianchi:
Amerai il Signore” (Dt 6,5), un futuro che ha la forza di un imperativo e, nel contempo, indica un cammino da compiersi, una dinamica e non semplicemente un comando. “Tu amerai” diventa dunque un compito, una strada da percorrere, accrescendo la conoscenza di Dio attraverso il suo ascolto assiduo. Come “camminando si apre il cammino”, così “amando si ama”[2].
nel libro della Genesi dove si parla della creazione del mondo e si chiarisce come nel creato non ci sia nulla, di per sé, di “cattivo”, di “peccaminoso”. Tutto è creato da Dio e tutto è “buono”: le bestie feroci, i fenomeni naturali possono essere nocivi, ma mai malvagi. La cattiveria è solo dell’uomo che possiede la libertà e la consapevolezza del valore morale del suo agire. Lo scopriamo dietro il racconto della creazione dell’uomo (l’adam, ovvero l’umanità ancora indifferenziata) e di come (o meglio perché) Dio distingue l’essere umano in maschio (Adamo) e femmina (Eva). La sessualità è dunque voluta e creata da Dio: è positiva, “molto buona” e legata all’essere ad immagine di Dio.
Dio disse: «Facciamo l'uomo a nostra immagine, secondo la nostra somiglianza… E Dio creò l'uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò: maschio e femmina li creò. Dio li benedisse e Dio disse loro: «Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra e soggiogatela. (Gen 1,26-28)
Fiumi di inchiostro sono stati versati per commentare questi versetti. Io mi limito a sottolineare alcuni punti: il fatto che l’uomo (al singolare) è l’unico essere creato a immagine e somiglianza di Dio, in quanto libero, capace di vivere in comunione, di tendere alla perfezione… Quest’uomo creato ad immagine di Dio è creato maschio e femmina (al plurale): due generi distinti chiamati alla fecondità e all’unità; due metà che hanno bisogno l’uno dell’altra per trovare pienezza e senso.
Il secondo racconto della creazione aggiunge altri particolari:
E il Signore Dio disse: «Non è bene che l'uomo sia solo: voglio fargli un aiuto che gli corrisponda». (…) Così l'uomo impose nomi a tutto il bestiame, (…) ma non trovò un aiuto che gli corrispondesse. Allora il Signore Dio fece scendere un torpore sull'uomo, che si addormentò; gli tolse una delle costole e richiuse la carne al suo posto. Il Signore Dio formò con la costola, che aveva tolta all'uomo, una donna e la condusse all'uomo. Allora l'uomo disse: «Questa volta è osso dalle mie ossa, carne dalla mia carne. La si chiamerà donna, perché dall'uomo è stata tolta». Per questo l'uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie, e i due saranno un'unica carne. Ora tutti e due erano nudi, l'uomo e sua moglie, e non provavano vergogna. (Gen 2,18-25)
Non è bene che l’uomo sia solo”: non è stato creato per la solitudine, ma per la comunione, per l’amore. Per questo lo crea maschio e femmina, due generi che trovano pienezza e complementarietà solo unendosi. Reciprocamente l’uomo è per donna e la donna per l’uomo “l’aiuto che gli corrisponde”, letteralmente “che gli sta di fronte”, grazie al quale io prendo coscienza di me stesso. Un aiuto che suppone uguaglianza: gli animali possono fare compagnia all’uomo, ma non possono entrare in comunione con lui. Perché si posa avere un rapporto interpersonale, l’uomo necessita di un altro simile a sé, che gli corrisponda e lo completi: la donna è della stessa natura e dignità dell’uomo. La costitutiva incompletezza della persona è ciò che la rende bisognosa dell’altro e di Dio. Questa sua “mancanza” è ciò che la spinge a realizzare il sogno di Dio: sogno di comunione, di amore reciproco che ha in Dio la sua sorgente e in Lui il suo fine. Dio crea l’umanità in maschile e femminile non tanto (e non solo) per procreare dei figli, ma perché sperimentino la gioia dell’essere “un’unica carne”, di essere uniti in profondità. L’uomo, nel conoscere la donna, esprime la prima parola con stupore, gioia e meraviglia: “è osso dalle mie ossa, carne dalla mia carne”! Il Talmud commenta: la donna è uscita dalla costola dell’uomo, non dai suoi piedi perché debba essere pestata, né dalla testa per essere superiore, ma dal fianco per essere uguale… un po’ più in basso del braccio per essere protetta e dal lato del cuore per essere amata.
San Tommaso ipotizza che i progenitori non ebbero il tempo di unirsi carnalmente nel paradiso terrestre, perché ne furono presto scacciati a causa del peccato. Ma – prosegue l’aquinate – se ne avessero avuto il tempo, si sarebbero certo uniti carnalmente e non – come dicono alcuni – senza piacere, ma anzi con un piacere molto maggiore di quello che proviamo noi, perché “il piacere è tanto più grande, quanto più pura la natura e più sensibile il corpo”[3]. Commenta Hadjadj:
L’innocenza non risiede in un amore disincarnato! Ma, precisa il grande dottore citando S. Agostino, senza il peccato originale “le membra avrebbero obbedito come le altre, seguendo la volontà, senza il pungolo di una passione seduttrice, in piena tranquillità di anima e di corpo”. Più avanti, aggiunge che l’intelligenza non sarebbe annegata nel ribollire della libidine, e che questa ragione sopravvissuta, lungi dal raffreddare il piacere, l’avrebbe sollevato verso una gioia più alta. Questa dottrina della Chiesa è letteralmente sbalorditiva. Quanti diffondono l’idea che il peccato originale deriva dall’unione dei sessi si barricano dietro una maldicenza ignorante. Secondo Tommaso è lecito pensare l’esatto contrario: se Adamo ed Eva si fossero “conosciuti” in questo purissimo atto carnale, scoprendo la gioia ineffabile di una comunione senza ombre sarebbero stati immunizzati contro la tentazione dello spirito impuro[4].
Siamo stati creati liberi perché Dio avesse qualcuno in grado di corrispondere al suo amore. E’ quanto afferma Ireneo di Lione: “Dio non plasmò Adamo perché avesse bisogno dell’uomo, ma per avere qualcuno nel quale deporre i suoi doni”[5]. Ma la libertà si è subito mostrata per l’essere umano un dono prezioso e pericoloso: siamo liberi di non accogliere e di non corrispondere all’amore di Dio, liberi di metterlo da parte, di rifiutarlo per mettere l’amor proprio al primo posto.


[1] G. Ravasi, Teologia dell’amore, p.102
[2] E. Bianchi, Raccontare l’amore, p.25
[3] Tommaso d’Aquino, Summa Teologica, I, q.98, a.2
[4] F. Hadjadj, Mistica della carne, 2009, p.68
[5] Ireneo di Lione, Contro le eresie, IV, 14,1.



[i]L’uomo è stato creato “a immagine di Dio”, capace di conoscere e di amare il proprio Creatore” (Concilio Vaticano II, Gaudium et spes, 12).
[ii]L’essere umano viene creato in duplice forma, maschio e femmina, ovvero due esseri differenti, ma che sono in stretta relazione tra loro nella complementarietà e nella reciprocità, condividendo la stessa natura… L’uomo e la donna sono allora due esseri allo stesso tempo “uguali” e “differenti”, che sono chiamati ad unirsi, a formare una sola carne, a divenire “uno”, un’unione che non li chiude in loro stessi (e che non annulla le differenze, ndr!), ma che diviene apertura verso l’altro, verso un terzo, nella possibilità di creare una nuova vita” (R. Ruffo, Perché Dio è amore, p. 29-30). L’uomo e la donna riflettono l’ “immagine di Dio”, del Dio d’amore Uno e Trino caratterizzato da unità e diversità, dono e accoglienza reciproca, apertura e fecondità verso l’altro.
[iii] Enzo Bianchi, Adamo, dove sei?, Qiqajon, Bose, 1994, p. 177.

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