L’amore è una realtà meravigliosa,

è l’unica forza che può veramente trasformare il cosmo, il mondo!

(Benedetto XVI)



domenica 8 febbraio 2015

«Via amoris»: linee fondamentali di un percorso storico

(Via amoris, Immagini dell'amore nella filosofia occidentale, San Paolo 1998, pp. 15-28)

Maurizio Schoepflin

Fin dalle origini del pensiero occidentale, il tema dell'amore ha occupato un posto di primaria importanza nella riflessione dei vari filosofi, e vi sono sufficienti elementi per sostenere che esso fu uno dei primissimi concetti che si affacciarono alla mente dell'uomo greco, quando cominciò a meditare prima sul cosmo e sulla natura, poi su di sé, cogliendosi nella propria individualità, ma anche nella dimensione sociale e politica.
Fin da queste prime fasi dello sviluppo della cultura, l'amore, che i greci chiamarono eros, coniando un termine tra i più noti e fortunati dell'intero lessico filosofico dell'Occidente, apparve come una forza capace di generazione e di unione, che esplicava la sua potenza innanzitutto a livello cosmico. Una forza non priva, tuttavia, di una sorta di irrazionale cecità, che poteva addirittura condurre sino alla pazzia coloro dei quali si fosse impossessata.
Pensato e descritto in questi termini, l'eros assunse presto i caratteri tipici del divino, in grado di stimolare la nascita di un'autentica religiosità, densa di mistero e di pietà e, specialmente al momento del tramonto della classicità, di ansia di redenzione. Nell'epoca del declino della filosofia classica, si fece più forte il desiderio della liberazione e della salvezza - e la mente non può non andare neoplatonismo -; ma non bisogna dimenticare che tali motivi - in particolare per ciò che riguarda la loro connessione con l'amore - erano ben presenti nel tessuto della classicità sin dall'affermarsi dell'orfismo, movimento religioso esoterico diffusosi in Grecia intorno al VI secolo a.C., la cui influenza sugli sviluppi del pensiero posteriore non può essere sottovalutata, seppur neanche ingigantita, come a volte si è fatto.
La grande novità introdotta dai misteri orfici è la dottrina della duplicità dell'essere umano, come ricorda Giovanni Reale: «Il nuovo schema di credenza consiste, dunque, in una concezione dualistica dell'uomo che contrappone l'anima immortale al corpo mortale e considera la prima come il vero uomo, o, meglio, ciò che nell'uomo veramente conta e vale» [1]. Tale nuova immagine dell'essere umano è diventata il terreno fertile per la nascita e lo sviluppo di una teoria dell'amore tendente a fare di esso l'entità capace, per un verso, di ristabilire l'unità perduta e per un altro di ricondurre l'uomo al suo autentico luogo d'origine, là donde egli cadde quando la sua anima si incarnò in un corpo, diventandone prigioniera [2].
I motivi dominanti della religiosità orfica - e tra essi anche quello dell'amore - ebbero grande fortuna nella speculazione posteriore. Essi, pur conoscendo molte rielaborazioni e aggiustamenti, andarono a costituire, ovviamente non da soli, l'impalcatura di fondo della religiosità e della cultura antica, la quale, fin dalle sue origini, aveva intravisto nell'eros una forza cosmica spesso daí caratteri irrazionali, e legata a dinamiche cosmogoniche e fisico-cosmologiche. La speculazione ellenica più matura conoscerà, riguardo alla riflessione sull'amore, un'indiscutibile acme nell'opera di Platone, per poi, in certo modo, ridimensionarsi con Aristotele. Quest'ultimo sembra maggiormente attratto dalla realtà dell'amicizia, sebbene non trascuri di proporre importanti considerazioni sull'amore, che trovano il loro esito più originale quando lo Stagirita si riferisce a Dio, come annota ancora Reale: «Aristotele sottolinea solo alcuni aspetti dell'amore e non presenta una dottrina di particolare interesse. Invece, è degno di rilievo come il concetto di eros venga riferito al Motore Immobile per spiegarne la causalità di tipo finale. In quanto è l'ottimo (il supremamente bello e buono), Dio è oggetto di amore, ossia oggetto di desiderio, e appunto come oggetto di desiderio muove i cieli e il cosmo» [3].
Un'ulteriore diminuzione della valenza e della pregnanza del concetto di amore è riscontrabile nella filosofia post-aristotelica, fino alla forte ripresa fatta registrare nel contesto della speculazione neoplatonica. Si può sinteticamente osservare che, intorno alla questione dell'amore, il pensiero greco si mosse su di un piano teoretico e intellettualistico, incapace di cogliere e valorizzare le sue dimensioni più squisitamente personalistiche e soggettive. E con i risultati di questo itinerario, ricco di luci e di profondissime intuizioni, ma anche contrassegnato da aporie, che venne a incontrarsi il cristianesimo.
L'irruzione nella storia e la diffusione nel mondo del messaggio cristiano rappresentarono sicuramente una svolta decisiva nel percorso culturale dell'Occidente [4]. E segnatamente il concetto di amore fu uno di quelli che più risentirono di tale svolta. Anders Nygren, in un'opera del 1930 divenuta ormai un classico sull'argomento, Eros e agape. La nozione cristiana dell'amore e k sue trasformazioni [5], sostenne la tesi che proprio nella nuova concezione dell'amore era da ravvisare la radicale diversità del cristianesimo rispetto alla filosofia greca, una diversità che implicava anche un'irriducibile inconciliabilità tra l'ambito della fede evangelica e quello della speculazione classica. Tralasciando per il momento la questione connessa alla parzialità della prospettiva interpretativa riscontrata nel lavoro di Nygren da parte di eminenti studiosi [6], concentriamo l'attenzione sulla nozione cristiana dell'amore, sulle sue origini e sull'evoluzione a cui andò incontro.
Difficile, e comunque fuori luogo in questa sede, sarebbe un approfondimento della dimensione biblica dell'amore, ma risulterebbe altrettanto errato trascurarne del tutto una seppur breve analisi, poiché è proprio dalla sacra Scrittura chi trae origine tutto il discorso cristiano sull'amore. Anche perché, come è stato giustamente sostenuto, «la Bibbia è un canto all'amore di Dio per le sue creature e in modo speciale per il suo popolo; essa però non ignora l'amore dell'uomo nelle sue molteplici espressioni naturali e religiose. Nella sacra Scrittura troviamo un'interessante presentazione dell'amore umano che evidentemente non è separato da Dio e dalla sua parola, quindi non sempre può essere considerato semplicemente profano; questo amore però è vissuto con le sue manifestazioni dell'esistenza nella sfera naturale, quali la famiglia, l'amicizia, la solidarietà, anche se queste realtà sono ritenute sacre. Inoltre la Bibbia parla anche dell'amore egoistico con le sue manifestazioni erotiche» [7].
La nostra analisi partirà da quanto emerge dall'Antico Testamento, tenendo presente ciò che sinteticamente ha scritto al riguardo Luigi Moraldi [8]. Dai libri veterotestamentari, presi nel loro complesso, senza tuttavia dimenticare le differenze spesso anche notevoli che intercorrono tra essi, risaltano l'incondizionatezza e la gratuità dell'amore di Dio, amore che costituisce la ragione primaria dell'azione divina e che si concretizza in volontà di elevazione, guarigione e redenzione. Emergono altresì le caratteristiche principali dell'amore umano, che viene a consistere nel dono totale di sé a Dio, e che coincide non tanto con un sentimento quanto con un agire che richiede fedeltà e giustizia. Spesso tuttavia il suo raggio di azione non va oltre gli appartenenti al popolo eletto, in ossequio a una concezione che in genere non contempla ancora orizzonti universali.
Con l'ebraismo, comunque, la considerazione dell'amore assume un carattere del tutto originale, come ha scritto Angelo Penna: «L'aspetto peculiare della religione ebraica non è tanto l'inserimento nella sfera religiosa di un sentimento naturalissimo nell'uomo, quanto piuttosto l'avere incluso nella sua legislazione il precetto di amare Dio e con specificazioni che in pratica escludono ogni limitazione in tale amore: tutte le facoltà dell'uomo (cuore, anima, mente, forze) devono contribuire per assolvere degnamente un simile impegno» [9].
Nella predicazione di Gesù la dottrina dell'Antico Testamento non viene né misconosciuta né abolita, ma è evidente la presenza nel Nuovo Testamento di elementi che l'approfondiscono e, spesso, la rinnovano in misura cospicua e, a volte, radicale. Ancora sulla scorta delle riflessioni di Angelo Penna [10], notiamo innanzitutto l'identificazione - particolarmente cara all'apostolo Giovanni - tra Dio e l'amore, e la connotazione paterna di tale amore; l'affermazione della presenza di un legame amoroso che unisce le Persone divine e che, conseguentemente, colloca l'amore al cuore stesso di Dio; la proclamazione dell'amore di Dio per l'umanità e la contestuale certezza che ciò richiede una risposta e una corrispondenza da parte dell'uomo, le quali trovano nell'amore verso il prossimo il terreno privilegiato di attuazione. L'amore del prossimo viene in tal modo saldato definitivamente a quello di Dio, tanto da risultare da esso inseparabile e, in un certo senso, indistinguibile.
Il messaggio biblico trovò un'eco di particolare rilevanza nella vita e nella cultura dei primi cristiani. Specialmente per ciò che concerne la realtà dell'amore, almeno nei primissimi secoli, la letteratura cristiana ci consegna testi che sono il riflesso del comportamento raccomandato e della prassi concretamente vissuta nelle comunità dei credenti. Da questi scritti emergono alcuni tratti salienti che Divo Barsotti ha studiato nel suo libro La dottrina dell'amore nei Padri della Chiesa fino a Ireneo [11] , proponendo, fra le altre, le seguenti notazioni conclusive: «L'agàpe è Dio stesso che si comunica al mondo... L'amore di Dio è infinitamente gratuito: da qui il senso di stupore, da qui l'accento di lode che ha la pietà dei primi fedeli, che hanno accolto il dono di Dio. L'amore di Dio è divinamente efficace: rinnova il volto del mondo. Un senso di freschezza e di libertà e di forza incontenibile, di gioia, prorompe da questi cuori nei quali inabita Dio. Soprattutto l'amore di Dio si rivela nell'universalità di una salvezza che è offerta a ciascuno, che anzi già in qualche modo raggiunge gli estremi confini, e non salva più soltanto qualcosa, ma ogni cosa, perfino la carne nella promessa della resurrezione futura» [12].
Con la venuta di Cristo l'amore di Dio si è reso vicino all'uomo, «vive nel cuore dell'uomo e diviene in lui principio di una nuova vita morale, di una nuova vita sociale, di una vita mistica. Così l'agàpe, che era discesa dal seno di Dio negli abissi della creazione, trae l'uomo da questi abissi e lo solleva fino al Padre» [13]. Di fondamentale importanza per comprendere questa concezione dell'amore è la sua valenza esistenziale e morale: per i cristiani delle origini, l'agàpe è il nuovo fondamento della moralità e investe ogni ambito della vita personale e sociale, spingendo il credente sino al martirio, che rappresenta il culmine dell'esperienza mistica inaugurata dall'amore e da esso costantemente alimentata[14].
Con innumerevoli modulazioni, il tema dell'amore cristiano continuerà a mantenere la sua centralità dalla fine dell'antichità fino a tutto il Medioevo, trovando in uomini del calibro di sant'Agostino, san Bernardo, san Bonaventura, san Tommaso - ma non in loro soltanto - espressioni di grande rilievo.
Di contro a quanto attesta un'immagine un po' stereotipata, l'uomo medievale avvertì con forza l'attrazione per le cose del mondo, e di ciò i filosofi cristiani furono perfettamente consci. Anzi, come ricorda Étienne Gilson, essi ravvisarono nell'insaziabilità tipica dell'animo umano l'indice di un bisogno talmente grande che non avrebbe mai potuto essere soddisfatto da nessun bene mondano o naturale: « Se si suppone che la sazietà del mondo è un amore di Dio che s'ignora, il problema è già risolto; perché si comprende allora quest'amore e il suo fallimento, e questo fallimento stesso attesta la possibilità della sua vittoria» [15]. Il pensatore cristiano medievale è convinto che tutto l'universo è frutto di un atto d'amore e che ogni cosa tende a Dio, fonte di questo amore; l'uomo vive con consapevolezza tale tensione, e in ciò risiede la sua superiorità rispetto agli altri esseri. Aggiunge Gilson: «L'amore umano... è sempre solo una partecipazione finita all'amore che Dio ha perse stesso; persino nei piaceri più bassi, persino nell'esaurimento della voluttà, ancora e sempre egli cerca Dio; diciamo di più, Dio stesso si cerca in lui, per sé. Così... il fine dell'amore umano ne è anche la causa» [16]. Dio è, dunque, amore, amore che si dona agli uomini perché, amando, lo cerchino e lo trovino: «E dunque una sola e stessa cosa dire che Dio è degno di essere amato, che muove gli esseri, che causa il loro moto verso di lui, o che crea in essi l'amore stesso per il quale essi lo amano. La ricerca di Dio è l'amore di Dio in noi; ma l'amore di Dio in noi è la nostra partecipazione finita all'amore infinito per il quale Dio ama se stesso» [17].
Sul piano della concretezza del vivere, ma anche su quello della speculazione filosofica, il problema che si pose dinanzi al pensatore medievale riguardò essenzialmente la questione del disinteresse, che può essere proposta nei termini seguenti: è possibile un amore veramente disinteressato, l'unico che, in ultima analisi, sia da considerarsi autenticamente tale? «Vi è una strada - scrive Gilson a questo riguardo - che possa condurre l'uomo a continuare ad amare se stesso, pur non amando più Dio che per Dio?» [18]. La risposta è positiva, e accomuna le due grandi tradizioni medievali, quella cistercense e quella tomista, in un'unica prospettiva, quella secondo cui «prima della caduta, l'uomo sa naturalmente che deve amare Dio e come deve amarlo; dopo la caduta, l'ha dimenticato e deve riapprenderlo» [19]. Che è poi la prospettiva che permette di risolvere, secondo Gilson, anche quella presunta antitesi tra amore di Dio e amore di sé che avrebbe travagliato i filosofi medievali.
A sostenere la tesi che tra i pensatori medievali fosse ravvisabile una duplice concezione dell'amore era stato Pierre Rousselot [20], il quale aveva distinto tra una teoria definita e amore di Dio, considerando le due specie di amore come naturalmente convergenti. I paladini del cosiddetto amore estatico, al contrario, avrebbero propugnato un atteggiamento dominato dall'oblio di sé come condizione necessaria per amare autenticamente Dio, nella convinzione che tale autentico amore richiedesse il disprezzo della propria individualità e delle proprie inclinazioni naturali.
Secondo Gilson questo dualismo non esiste: «Il contrasto che si suppone tra l'amore di sé e l'amore di Dio non ha dunque nessuna ragione di essere, per chi si mantiene sul piano della somiglianza e dell'analogia, che è il piano stesso della creazione. Dire che, se l'uomo ama necessariamente se stesso, non potrebbe amare Dio di un amore disinteressato, è dimenticare che amare Dio d'un amore disinteressato è per l'uomo il vero modo di amare se stesso» [21].
Lungi da essere considerata un guadagno, la sintesi raggiunta dai medievali è apparsa agli occhi di Nygren come un allontanamento dalla più genuina dottrina cristiana dell'amore, che ha avuto in san Paolo l'interprete più vigoroso e coerente. A suo giudizio, l'agàpe, amore libero, assoluto e immotivato di Dio, costituisce il vero motivo di fondo e la specificità del messaggio cristiano, e non può trovare alcuna conciliazione con nessun altro genere di amore, che, qualunque forma assuma, è pur sempre ascrivibile alla dimensione dell'eros. Su questa linea egli ha contestato la validità dello sforzo prodotto dai vari filosofi cristiani, i quali, soprattutto a partire da Origene e, soprattutto, da sant'Agostino e dalla sua dottrina della caritas mediatrice fra eros e agàpe, hanno tentato di operare una composizione fra due dimensioni inconciliabili e addirittura conflittuali.
Per Nygren, il recupero della natura più autentica dell'amore cristiano, che è soltanto agàpe, avviene con Lutero e con la sua teologia della croce, la quale manifesta la perfetta e abissale gratuità dell'amore di Dio, che è dono totale e non cerca mai il proprio interesse, neppure quello ritenuto più alto. In ciò si renderebbe pienamente evidente il rifiuto luterano di qualunque collegamento o possibile armonizzazione fra l'amore agapico cristiano e l'amore erotico umano, indagato e spesso esaltato dalla filosofia greca, alla quale, secondo Nygren, il cristianesimo sino a Lutero ha pagato un tributo troppo elevato [22].
Se, da una parte, l'epoca moderna si apre con la posizione di rottura della riforma luteraria, dall'altra il Rinascimento opera il recupero delle tesi platoniche e neoplatoniche, rilette in chiave religioso-teologica, ma non prive di accenti immanentistici e, a volte, panteistici. In certi casi, esse sono orientate a cogliere un nuovo protagonismo dell'uomo, al quale viene riconosciuta un'autonoma capacità d'amore; di essa, tuttavia, non si nega l'origine divina, tanto da giungere, in varie occasioni, a ripetere - sulla scia di sant'Agostino - che l'amore che l'uomo nutre per Dio ha sempre e comunque Dio stesso come principio e fondamento.
Come ha opportunamente suggerito Giuseppe Faggin [23], furono anche gli spiccati interessi che la sensibilità rinascimentale manifestò nei riguardi della dimensione artistica e di quella letteraria a orientarne la speculazione verso il tema dell'amore. La concezione dualistica propria del platonismo, al quale il pensiero del Rinascimento si ispirò, fu contemperata e armonizzata con le imprescindibili acquisizioni che il cristianesimo aveva fissato circa la positività dell'amore e il suo essere elemento unitivo tra il naturale e il soprannaturale. In tal senso, per l'uomo rinascimentale si istituisce un legame profondo tra Dio e le creature, proprio grazie al fatto che l'amore divino si immanentizza e la Divinità perde il carattere di assoluta autosufficienza ed estraneità nei riguardi del mondo. Così, l'amore acquista lo status di «appetito», di inclinazione che muove ogni istintività e ogni superiore facoltà verso il proprio luogo naturale, cioè Dio. Si tratta di una, forza unitiva che, come in- segnano maghi, astrologi e alchimisti, è capace di animare l'intero universo e di congiungerne tutti gli elementi.
Sarà il rapido progredire del sapere scientifico a imprimere una svolta di grande importanza allo sviluppo della riflessione sull'amore, come ha nuovamente annotato Faggin: «Il progresso delle scienze fisico-matematiche nell'età moderna demolisce il mito dell'Eros, motore del mondo, e vi sostituisce le leggi della meccanica e della dinamica: la detronizzazione di Eros è il trionfo del meccanicismo scientifico. L'amore, bandito dalla realtà fisica, di cui voleva interpretare l'organicità teleologica, è confinato dentro l'orizzonte del soggetto e si risolve in passione, in sentimento, in mero fatto psichico. La sua funzione teologica e cosmica sembra conchiusa» [24]. Seppur con le dovute eccezioni, il moderno atteggiamento filosofico nei confronti dell'amore, soprattutto nei pensatori di scuola empirista, sarà contraddistinto da una visione in termini fenomenistici, fisici e psicologici, privi di qualsiasi riferimento di ordine metafisico o religioso. Come ha indicato Bernhard Casper: «L'amore... non è più osservato nel contesto della ricerca sull'essere: lo si considera come uno stato di cose puramente ontico, per cui non conserva più centralità alcuna all'interno del pensiero filosofico. Ha così inizio quel modo obiettivante di considerare l'amore che è proprio delle scienze particolari» [25].
Soprattutto nel Settecento, i filosofi insisteranno sul fatto che non vi può essere amore senza un fondamento sensibile, e saranno termini come «impulso» e «desiderio» a okfrire le chiavi esplicative del fenomeno amoroso, visto sempre più spesso secondo l'ottica dell'utilità e del piacere soggettivi. Va però sottolineato a questo proposito che la riduzione del sentimento dell'amore a una dimensione puramente soggettiva conosce; all'interno dello sviluppo del pensiero settecentesco, una certa varietà di tonalità interpretative. Se per un verso, come si è detto, l'amore viene inteso in senso eminentemente edonistico, come un istinto che si risolve sempre in amore di sé e tende unicamente al soddisfacimento dei bisogni individuali e al raggiungimento del proprio benessere, fino ad assumere, in qualche caso, tonalità amaramente ciniche; per un altro si tende a mitigare questo edonismo attraverso l'affermazione della connessione dell'amore con la benevolenza: l'ottenimento del piacere e dell'utile individuale, che rimane pur sempre la finalità preminente, è conseguito attraverso l'appagamento della persona amata, nella quale il soggetto si compiace. Nel contesto della filosofia razionalistica, invece, l'amore continuerà a essere inquadrato entro spazi speculativi che ammettono la considerazione dell'infinito e della finalità, del divino e della libertà, dell'assoluto e dell'eternità.
La cultura romantica sottolineò con forza proprio le dimensioni dell'infinito e dell'assoluto, e l'amore assunse allora tinte quasi mistiche, che trovarono la loro ragion d'essere nel concetto - tanto caro e tanto indagato dai filosofi del primo Ottocento - dell'unità di finito e infinito. Scrive Nicola Abbagnano: «Fu per l'appunto questa unità che consentì ai Romantici di elaborare una teoria dell'amore, per la quale l'amore stesso, pur rivolgendosi a cose o creature finite, vede o coglie, in queste, le espressioni o i simboli dell'Infinito (cioè dell'Assoluto o di Dio). Per l'unità del finito e dell'Infinito, infatti, l'aspirazione all'Infinito può giungere al suo appagamento anche nel mondo finito, per esempio, nell'amore verso la donna» [26]. Di tale amore i romantici sottolinearono la componente sessuale, considerandola però non in contrasto con le esigenze più tipiche della spiritualità e con le aspirazioni più alte dell'uomo. Forse in nessun'altra epoca l'amore venne esaltato come in quella romantica: di esso si colse la capacità di sintetizzare corpo e spirito, esteriorità e interiorità, di unire e armonizzare perfettamente le diverse singolarità, l'uomo con Dio stesso, facendone una forza di cosmica e divina potenza. La prospettiva secondo la quale la cultura romantica guardò all'amore ha conosciuto una fortuna notevole, e ancora con Nicola Abbagnano «si può dire in generale che tutte le teorie che riducono l'amore ad una forza unica e totale, o comunque lo fanno derivare da una forza siffatta, partecipano, in qualche misura, della nozione romantica dell'amore come unità e identità» [27].
Le varie concezioni dell'amore che si sono affermate in epoca contemporanea possono essere considerate come riprese e reinterpretazioni, più o meno dotate di originalità, dei grandi filoni speculativi di cui si è cercato sin qui di render conto. In particolare, i pensatori del nostro secolo si muoveranno lungo tre direttrici fondamentali: quella empiristico-materialistica, che conduce a una chiara accentuazione della componente sessuale dell'amore; quella spiritualistico-personalista, che si abbevera, seppur con sfumatine assai diverse, alla fonte della rivelazione cristiana; e, infine, quella di ascendenza romantica, religiosa e misticheggiante, che vagheggia un ideale di unità e di universale compassione.
In definitiva, le varie dottrine dell'amore si collegano direttamente alle diverse visioni della vita' d del mondo sostenute dai singoli filosofi. Questo vale in misura del tutto particolare quando la riflessione verte sulla possibilità o meno di attribuire all'amore uno spessore positivo e di collocarlo entro un orizzonte di senso e di speranza, e aperto verso un futuro metastorico. Questa apertura è ancor oggi il carattere distintivo della speculazione di matrice cristiana, che si alimenta alla rivelazione biblica, la quale attesta che Dio stesso, la sua vita trinitaria, il suo rapporto con l'umanità e il mondo e il legame che unisce coloro che in lui credono nient'altro sono se non amore, amore che, colto nella dimensione sopra ricordata, diventa il centro stesso della fede. Tale amore è il segno tangibile dell'infinita misericordia divina, della riconciliazione di tutte le creature fra di loro e con Dio. A proposito di questo amore, ha scritto Dalmazio Mongillo: «Prima e più che richiesta di comportamento, è rivelazione dell'adozione alla vita trinitaria. Lasciarsi conformare nella verità di questa condizione è consentire a vivere da figli di Dio... La carità è vita, è atteggiamento; è mentalità. Scaturisce dalla grazia, dall'unione con Dio, dalla partecipazione della sua vita e tende ad essa... L'incidenza storica della carità non si sviluppa a danno di tale sua radicazione divina, e questa non cresce se disattende la prima. Non si può amare Dio che riconcilia con sé la storia, se non si ama la storia iniziata alla riconciliazione con Dio... Solo nell'amore di Dio si ama in verità la storia e solo l'amore samaritano è il vero riflesso dell'amore di Dio... Dimensione trinitaria e dimensione storico-salvifica della carità sussistono, crescono, si irradiano insieme; sono espressione della vita nella quale umanità e creazione sono nuove in Gesù Cristo risorto che dà lo Spirito e dona allo Spirito» [28].
NOTE
1 G. Reale, Storia della filosofia antica, Vita e Pensiero, Milano 19824, vol. I, p. 441.
2 Sull'orfismo, conserva tutt'oggi una notevole importanza l'opera di E. Rohde, Psiche, Laterza, Bari 1970. Sulla rilevanza della svolta impressa dall'orfismo, sviluppa interessanti considerazioni anche E. Dodds, I Greci e l'irrazionale, La Nuova Italia, Firenze 1959, pp. 159-209.
3 G. Reale, Storia della filosofia antica, Víta e Pensiero, Milano 1980, vol. V, pp. 100-101.
4 Molto è stato scritto intorno a questo argomento. Per una breve sintesi del problema ci permettiamo di rimandare al volume di M. Schoepflin (a cura di), Il «De magistro» di sant'Agostino e il tema dell'educazione nel cristianesimo antico, Paravia, Torino 1994, nella cui parte introduttiva si cerca di rendere conto sia delle principali novità apportate dal messaggio cristiano, sia del loro incontro/scontro con la preesistente cultura classica; l'opera contiene varie indicazioni bibliografiche al riguardo.
5 A. Nygren, Eros e agape. La nozione cristiana dell'amore e le sue trasformazioni, Il Mulino, Bologna 1971.
6 Cfr. F. Bolgiani, Introduzione a A. Nygren, Eros e agape, op. cit., pp. VII-XLIX. Bolgiani mette in luce i grandi meriti e i limiti dell'opera dello studioso luterano, riconducendo i primi alla straordinaria capacità di aver prodotto una ricerca sull'amore cristiano di un'ampiezza e di una sistematicità ancora insuperate, e ravvisando i secondi soprattutto nella visione unilaterale e nell'impostazione schematica che spesso inficiano l'interpretazione proposta; ad essa Nygren sembra più volte piegare forzatamente determinate acquisizioni.
7 S. A. Panimolle, Amore, in P. Rossano, G. Ravasi, A. Girlanda (a cura di), Nuovo dizionario di teologia biblica, Edizioni Paoline, Cinisello Balsamo 19893, p. 36.
8 L. Moraldi, Dio è amore, Edizioni Paoline, Roma 1954, pp. 55-56.
9 A. Penna, Amore nella Bibbia, Paideia, Brescia 1972, p. 134. 
10 bid., pp. 134-147.
11 D. Barsotti, La dottrina dell'amore nei Padri della Chiesa fino a Ireneo, Vita e Pensiero, Milano 1963.
12 Ibid., p. 415.
13 Ibidem.
14 Ibid., p. 416.
15 É. Gilson, Lo spirito della filosofia medioevale, Morcelliana, Brescia 19693, pp. 335-336.
16 Ibid., pp. 336-337.
17 Ibid., p. 338. ls Ibid., p. 341.
19 Ibid., p. 343.
20 Cfr. P. Rousselot, Pour l'histoire du problème de l'amour au Moyen Âge, Aschendorff, Münster 1908.«fisica» o «greco-tomista» e un'altra denominata «estatica». I filosofi che, secondo Rousselot, si richiamavano alla prima posizione erano coloro che sostenevano l'esistenza di una conciliazione e di una continuità tra amore di sé
21 É. Gilson, Lo spirito della filosofia medioevale, op. cit., p. 349. A questo proposito concorda con Gilson R. Garrigou-Lagrange, Amore, in Aa.vv., Enciclopedia cattolica, Ente per l'Enciclopedia cattolica e per il libro cattolico, Città del Vaticano / Sansoni, Firenze 1949, vol. I, col. 1099.
22 Centrando la propria attenzione particolarmente sul legame coniugale, scrive cose interessanti sull'amore nella dottrina dei fondatori della riforma A. Bellini, Il matrimonio in Lutero e Calvino, in Aa.vv., Amore e matrimonio nel pensiero filosofico e teologico moderno, Vita e Pensiero, Milano 1976, pp. 60-99.
23 Cfr. G. Faggin, Amore, in Aa.vv., Enciclopedia filosofica, Istituto per la collaborazione culturale, Venezia-Roma / Sansoni, Firenze 1957, vol. I, coll. 176-177.
24 G. Faggin, Amore, art. cit., col. 177. Per un'ampia e originale ricostruzione dell'evoluzione delle teorie e dei comportamenti amorosi nell'epoca moderna e contemporanea può essere utile la lettura di N. Luhmann, Amore come passione, Laterza, Roma-Bari 19872. Nell'opera l'autore ha modo di mettere alla prova la sua complessa e innovativa teoria dei sistemi sociali, basata su di una concezione funzionalistico-strutturale della società.
25 B. Casper, Amore, in Aa.vv., Concetti fondamentali di filosofia, Queriniana, Brescia 1981, vol. I, p. 39.
26 N. Abbagnano, Dizionario di filosofia, Utet, Torino 1971, p. 28.
27 Ibid., p. 29.
28 D. Mongillo, Virtù teologali, in E Compagnoni, G. Piana, S. Privitera (a cura di), Nuovo dizionario di teologia morale, Edizioni Paoline, Cinisello Balsamo 19902, p. 1491.

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