Il mondo moderno, secondo una efficace definizione di p. Raniero
Cantalamessa, conosce sempre più un eros
senza agape, ovvero:
un amore romantico, più spesso
passionale, fino alla violenza. Un amore di conquista che riduce fatalmente
l’altro a oggetto del proprio piacere e ignora ogni dimensione di sacrificio,
di fedeltà e di donazione di sé. Non occorre insistere nella descrizione di
questo amore perché si tratta di una realtà che abbiamo quotidianamente sotto
gli occhi, propagandata com’è in maniera martellante da romanzi, film, fiction
televisive, internet, riviste cosiddette “rosa”. È quello che il linguaggio
comune intende, ormai, con la parola “amore” [1].
Freud ha dato una spinta notevole a questa linea, riducendo
l’amore a eros e l’eros a libido, a pura pulsione
sessuale. Da qui deriva anche la connessione classica tra eros e thanatos,
tra amore e morte[2]. L’amore che per sua
natura dovrebbe portare alla vita, porta invece ormai alla morte.
Se la componente legata
all’affettività e al cuore, viene sistematicamente negata o repressa, l’esito
sarà duplice: o si tira avanti stancamente, per senso del dovere e per difesa
della propria immagine, oppure si cercano compensazioni più o meno lecite, fino
ai dolorosissimi casi che ben conosciamo. Al fondo di molte deviazioni morali
di anime consacrate, non lo si può ignorare, c’è una distorta e contorta concezione
dell’amore[3].
Molti teologi[4] fanno
risalire tale spaccatura al Nuovo Testamento, e a San Paolo in particolare, che,
usando quasi esclusivamente la parola agape, avrebbe con ciò eliminato l’eros
riducendolo a peccato e quindi a vizio.
Il cristianesimo, secondo Friedrich Nietzsche, avrebbe dato da
bere del veleno all'eros, che,
pur non morendone, ne avrebbe tratto la spinta a degenerare in vizio[5].
Con ciò il filosofo tedesco esprimeva una percezione molto diffusa: la Chiesa
con i suoi comandamenti e divieti non ci rende forse amara la cosa più bella
della vita? Non innalza forse cartelli di divieto proprio là dove la gioia,
predisposta per noi dal Creatore, ci offre una felicità che ci fa pregustare
qualcosa del Divino?[6]
Ma,
prosegue Papa Benedetto XVI nella sua Lettera Enciclica Deus Caritas est, “è
veramente così? Il cristianesimo ha davvero distrutto l’eros?”[7].
Commenta
Cantalamessa:
Si suppone che gli autori del NT siano al corrente
sia del senso che il termine eros aveva nel linguaggio comune – l’eros cosiddetto “volgare” – sia il senso
elevato e filosofico che aveva, per esempio, in Platone, il cosiddetto eros
“nobile”. Nell’accezione popolare, eros indicava più o meno quello che indica
anche oggi, quando si parla di erotismo o di film erotici, cioè il
soddisfacimento dell’istinto sessuale, un degradarsi piuttosto che innalzarsi.
Nell’accezione nobile, esso indicava l’amore per la bellezza, la forza che
tiene insieme il mondo e spinge tutti gli esseri all’unità. (…) È difficile
sostenere che gli autori del Nuovo Testamento, rivolgendosi a persone semplici
e di nessuna cultura, intendessero metterli in guardia dall’eros di Platone.
Essi evitarono il termine eros per lo stesso motivo per cui un
predicatore evita oggi il termine erotico o, se lo usa, lo fa solo in senso
negativo. Il motivo è che, allora come adesso, la parola evoca l’amore nella
sua espressione più egoistica e sensuale. Il sospetto dei primi cristiani nei
confronti dell’eros era ulteriormente aggravato dal ruolo che esso svolgeva
negli sfrenati culti dionisiaci[8].
Appena il cristianesimo entra in contatto e in
dialogo con la cultura greca del tempo, cade immediatamente ogni preclusione
nei confronti dell’eros. Esso viene usato spesso, negli autori greci, come
sinonimo di agape ed è impiegato per indicare l’amore di
Dio per l’uomo, come pure l’amore dell’uomo per Dio, l’amore per le virtù e per
ogni cosa bella.
Benedetto XVI invita a ritrovare una sintesi tra eros e agape che nasce da
una chiarificazione di fondo: “l'eros ha bisogno di disciplina, di
purificazione per donare all'uomo non il piacere di un istante, ma un certo
pregustamento del vertice dell'esistenza, di quella beatitudine a cui tutto il
nostro essere tende”[9]. Commenta
Cantalamessa: “Se eros significa slancio, desiderio, attrazione,
non dobbiamo avere paura dei sentimenti, né tanto meno disprezzarli e
reprimerli”[10]. Dobbiamo però educarli, gestirli,
purificarli perché essi non divengano nostri feroci padroni pronti a renderci
schiavi.
E’ altresì necessario che corpo e anima, costitutive dell’essere
umano, ritrovino unità perché non perdano anche la loro profonda dignità.
Se l'uomo ambisce di essere solamente spirito e vuol rifiutare la
carne come una eredità soltanto animalesca, allora spirito e corpo perdono la
loro dignità. E se, d'altra parte, egli rinnega lo spirito e quindi considera
la materia, il corpo, come realtà esclusiva, perde ugualmente la sua grandezza.
L'epicureo Gassendi, scherzando, si rivolgeva a Cartesio col saluto: « O Anima!
». E Cartesio replicava dicendo: « O Carne! »[11].
Ma non sono né lo spirito né il corpo da soli ad amare: è l'uomo, la persona,
che ama come creatura unitaria, di cui fanno parte corpo e anima. Solo quando
ambedue si fondono veramente in unità, l'uomo diventa pienamente se stesso.
Solo in questo modo l'amore — l'eros — può maturare fino alla sua vera
grandezza.
Oggi non di rado si rimprovera al cristianesimo del passato di
esser stato avversario della corporeità; di fatto, tendenze in questo senso ci
sono sempre state. Ma il modo di esaltare il corpo, a cui noi oggi assistiamo,
è ingannevole. L'eros degradato a puro « sesso » diventa
merce, una semplice « cosa » che si può comprare e vendere, anzi, l'uomo stesso
diventa merce. In realtà, questo non è proprio il grande sì dell'uomo al suo
corpo. Al contrario, egli ora considera il corpo e la sessualità come la parte
soltanto materiale di sé da adoperare e sfruttare con calcolo. Una parte,
peraltro, che egli non vede come un ambito della sua libertà, bensì come un
qualcosa che, a modo suo, tenta di rendere insieme piacevole ed innocuo. In
realtà, ci troviamo di fronte ad una degradazione del corpo umano, che non è
più integrato nel tutto della libertà della nostra esistenza, non è più
espressione viva della totalità del nostro essere, ma viene come respinto nel
campo puramente biologico. L'apparente esaltazione del corpo può ben presto
convertirsi in odio verso la corporeità. La fede cristiana, al contrario, ha
considerato l'uomo sempre come essere uni-duale, nel quale spirito e materia si
compenetrano a vicenda sperimentando proprio così ambedue una nuova nobiltà.
Sì, l'eros vuole sollevarci « in estasi »
verso il Divino, condurci al di là di noi stessi, ma proprio per questo
richiede un cammino di ascesa, di rinunce, di purificazioni e di guarigioni.[12].
Tale sintesi tra corpo e spirito passa
anche attraverso la filia, l’amicizia che ci apre alla gratuità dell’amore. E
passa soprattutto, come vedremo, attraverso il Cristo.
Quando l’eros è integrato nell’agape, viene come ad essere
impregnato dall’Amore e dal suo valore proprio; informatone come dall’interno,
l’eros realizza il suo dinamismo proprio e porta a maturazione piena quanto ha
in sé come germoglio. La differenza anche essenziale non è opposizione:
È una relazione analoga a quella tra moralità
naturale e soprannaturale. La moralità soprannaturale cristiana, la santità, è
qualcosa di qualitativamente nuovo rispetto a quella semplicemente naturale,
qualcosa che la supera in modo incomparabile; non forma però alcun contrasto
con la moralità naturale, ma la compie e la trasfigura. È così anche qui. In
ogni amore naturale – anche nel più imperfetto – nell’amore come tale, sta un
certo riflesso della carità, una certa immagine, un “germoglio”, che tende ad
un compimento, che questo amore non può mai raggiungere in base alle proprie
forze, ma esige secondo il suo spirito proprio[13].
[1] Cf. R.
Cantalamessa, “Le due facce dell’amore:
Eros e Agape”, I predica di Quaresima (25.03.2011), http://www.cantalamessa.org/?p=546
[2]
Si arriva alla stessa
costatazione leggendo la raccolta di poesie “I fiori del male” di Baudelaire” o “Una stagione all’inferno” di Rimbaud.
[3] R.
Cantalamessa, cit.
[4] Vedi in particolare Anders Nygren, Eros e agape. La
nozione cristiana dell’amore e le sue trasformazioni, Bologna, Il Mulino,
1971 (or. 1930). Questa opposizione diventa uno dei temi centrali del
pensiero protestante: non solo in Lutero (cfr. tesi 28 della controversia di
Heidelberg), ma anche più tardi, ad esempio in un teologo come Anders Nygren
(1890-1978). Per Nygren l’agape è l’amore che viene da Dio, l’eros è
l’amore puramente umano. Il teologo svedese vede nell’esaltazione romantica
dell’amore (l’eros) una forma di autocompiacimento, una divinizzazione
dell’umano che sfocia nella distruzione di sé e nella morte (cf. Tristano
e Isotta). Al contrario l’agape è ricevuto come grazia, in un
atteggiamento di obbedienza filiale.
[6]
Benedetto XVI, Deus Caritas Est, 2
[7] Id., 3
[8] Cf. id,
4
[9] Id., 4
[10] R.
Cantalamessa, cit.
[12]
Benedetto XVI, cit., n.5
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