“Amore,
parola dolce, ma realtà ancora più dolce (…)non c’è cosa migliore che parlare
di tale argomento” (S. Agostino[1])
Ma cos’è l’amore? E’ possibile amare? Cosa c’entra Dio con l’amore? Sono
alcune delle domande a cui cercheremo di dare risposta in questa prima parte. Un
riferimento obbligato sarà l’enciclica «Deus
Caritas est» pubblicata nel
2005 da Papa Benedetto XVI
in cui ci ha offerto un autentico trattato sul tema. Prima di lui scriveva
Giovanni Paolo II:
Non esiste nulla che
più dell’amore occupi sulla superficie della vita umana più spazio, e non
esiste nulla che più dell’amore sia sconosciuto e misterioso. Divergenza tra
quello che si trova sulla superficie e quello che è il mistero dell’amore ecco
la fonte del dramma. Questo è uno dei grandi drammi dell’esistenza
umana[2].
Quasi a commento di
queste parole, Benedetto XVI così presentava la sua prima enciclica:
Eppure è una parola
primordiale, espressione della realtà primordiale; noi non possiamo
semplicemente abbandonarla, ma dobbiamo riprenderla, purificarla e riportarla
al suo splendore originario, perché possa illuminare la nostra vita e portarla
sulla retta via.
È stata questa
consapevolezza che mi ha indotto a scegliere l'amore come tema della mia prima
enciclica[3].
L’amore è certamente una delle
parole più usate e abusate nella nostra società. Nell’adolescenza l’amore viene confuso con
l’emozione forte che si prova nella scoperta del ragazzo o della
ragazza, nella giovinezza viene identificato con il sentimento particolare
dell’innamoramento.
L’amore è prima di tutto una realtà, una
capacità che costituisce l’essere stesso del soggetto e ne diviene la legge
fondamentale della sua crescita. E’ stato scritto che: “L’uomo
non può vivere senza amore. Egli rimane per se stesso un essere
incomprensibile, rimane privo di senso se non gli viene rivelato l’amore, se
non si incontra con l’amore, se non lo sperimenta”[4].
Ma chi insegna alle nuove
generazioni l’arte di amare? “Raramente, scriveva il famoso psicanalista
E. Fromm, la società cerca di imparare l’arte di amare: il successo, il
prestigio, il denaro, il potere sono considerati più importanti”[5].
Ma partiamo da
quanto ha scritto recentemente Enzo Bianchi, il noto monaco fondatore e priore della comunità
di Bose:
L’amore è
l’esperienza umana più coinvolgente e più decisiva nella nostra vita. Forse è
l’unica esperienza in cui ci sentiamo un po’ redenti, in cui sentiamo di
salvare le nostre povere vite. Per questo cerchiamo l’amore, lo attendiamo, lo
bramiamo, e quando si accende la possibilità della storia d’amore tutte le
nostre attenzioni sono trascinate nel suo nascere, sbocciare, crescere (…)ma in
realtà a noi umani non è possibile un amore portato a pienezza.
L’amore di fatto
conosce, anche se non lo vogliamo, tante contraddizioni: difficoltà, conflitti,
deperimenti, infedeltà e forse anche – ma non ne sono sicuro – la morte. Per
questo l’amore non coinvolge nessuno senza esporlo al dolore e senza che
debbano consumarsi perdite di se stessi; nell’amore c’è la sofferenza, il
dolore per queste contraddizioni ma anche per le inadeguatezze, per la nostra
incapacità di amare: quanta disciplina occorre per amare in modo autentico, per
amare di desiderio sì, ma in una relazione sinfonica e piena di rispetto l’uno
per l’altro, senza diffidenza tra gli amanti, accettandosi reciprocamente, tesi
verso un rapporto che renda entrambi più buoni, più umanizzati.
Nell’amore,
soprattutto nella fase dell’innamoramento, c’è qualcosa di adolescenziale che
sempre si rinnova a ogni inizio: si desidera la fusione che chiede di stare
sempre insieme, di pensare le stesse cose, di gioire insieme delle stesse
realtà; in una parola, di non lasciare all’altro la distanza che gli è
necessaria per essere altro e se stesso, di fronte a me. L’amore dunque
richiede una lotta perché, quando amiamo, in noi si fa prepotente il desiderio
di possesso, di vantare pretese sull’altro. C’è una difficoltà, quasi
un’impossibilità dell’amore autentico: più amiamo, più desideriamo, e più
desideriamo, più siamo tentati di disporre dell’altro, fino a farne un nostro
possesso.
Siamo intessuti
d’amore, mendicanti d’amore, abitiamo la contraddizione di avere necessità
dell’amore il quale però necessità della libertà. Per un po’ d’amore siamo
anche tentati di prostituzione; per non perdere l’amore siamo tentati di
costruire attorno all’altro un recinto; per non soffrire il tradimento
nell’amore siamo portati alla violenza, al fare tutto senza più cogliere la
differenza dell’altro, le sue motivazioni, la sua via, buona o cattiva che sia.
È difficile coniugare amore e libertà, acconsentire nella storia d’amore alla
libertà dell’altro, riconoscere che l’alterità è impossibilità all’uguale, al
medesimo, e che deve rimanere differenza.
Questa sofferenza
si fa ben più acuta ed evidente quando il nostro amore è rifiutato, non
corrisposto, non desta il contraccambio. (…)
Il no dell’altro,
per noi amabile, al nostro sguardo, al nostro amore, è una sofferenza acuta che
continua almeno per un certo tempo. È la necessitas
amoris, inscritta nell’amore: l’amore si rivolge alla libertà dell’altro, e
così nella relazione può accadere anche il diniego, il rifiuto, il no
all’amore. E l’amante, dall’amore nato dal suo sguardo riceve sofferenza per il
no opposto al suo amore; l’amante è sempre esposto al rischio che l’amato non
diventi amante, che l’amato se ne vada, che non riconosca l’amore di chi lo
ama.
L’amore basta
all’amore? Cioè all’amante basta amare anche senza reciprocità, anche senza il
contraccambio da parte dell’amato? L’amore si sostiene anche quando l’amato
rifiuta di essere trasfigurato dall’amore dell’amante? L’amore contiene in sé
il riconoscimento della libertà dell’altro e continua nel suo ardere anche
quando dall’altro giunge il diniego? Se è vero amore, sì! Proprio perché
l’amore basta all’amore, perché l’amore non può mai essere meritato ma sta
nello spazio della gratuità e della libertà, perché non solo Dio è amore ma
l’amore, se è vero, diventa divino, cioè racconta sempre Dio[6].
Carlo Maria Martini scriveva:
Chiamo amore quell’esperienza intensa, indimenticabile e
inconfondibile che si può fare soltanto nell'incontro con un'altra persona.
Non c'è quindi amore con una cosa astratta, con una virtù. Non c'è
amore solitario. L'amore suppone sempre un altro e si attua in un incontro
concreto. Per questo l'amore ha bisogno di appuntamenti, di scambi, di gesti,
di parole, di doni che, se sono parziali, sono tuttavia simbolo del dono pieno
di una persona ad un'altra.
Amore è dunque incontrare un'altra persona scambiandosi dei doni, è esperienza in cui si dà qualcosa di sé e c'è più amore quanto più si dà qualcosa di sé.
L'amore è un incontro in cui l'altro ci appare importante, in un certo senso più importante di me: così importante che, al limite, io vorrei che lui fosse anche con perdita di me. Uno scopre di essere innamorato quando si accorge che l'altro gli è divenuto, in qualche modo, più importante di se stesso. Per questo l'amore realizza qualcosa che potremmo chiamare un'estasi, un uscire da sé, dal proprio tornaconto: una sorta di estasi in cui io mi sento tanto più vero e tanto più autentico, tanto più genuinamente io quanto più mi dono, mi spendo e non mi appartengo più in esclusiva[7].
Amore è dunque incontrare un'altra persona scambiandosi dei doni, è esperienza in cui si dà qualcosa di sé e c'è più amore quanto più si dà qualcosa di sé.
L'amore è un incontro in cui l'altro ci appare importante, in un certo senso più importante di me: così importante che, al limite, io vorrei che lui fosse anche con perdita di me. Uno scopre di essere innamorato quando si accorge che l'altro gli è divenuto, in qualche modo, più importante di se stesso. Per questo l'amore realizza qualcosa che potremmo chiamare un'estasi, un uscire da sé, dal proprio tornaconto: una sorta di estasi in cui io mi sento tanto più vero e tanto più autentico, tanto più genuinamente io quanto più mi dono, mi spendo e non mi appartengo più in esclusiva[7].
[1]
In ep. Io. 8,1. Nello stesso testo (10,7) afferma: “La regola della carità, o miei fratelli, la sua forza, il suo fiore, il
suo frutto, la sua bellezza, la sua attrattiva, il suo pasto, la sua bevanda,
il suo cibo, il suo abbraccio, non conoscono sazietà”.
[2] Giovanni
Paolo II, La bottega dell’orefice, in
Tutte le opere letterarie,
Bompiani ed., Milano 2001, pag. 821
[3] Benedetto XVI, ”Perché ho scelto l'amore come tema della mia prima
enciclica”, Discorso del 23 gennaio 2006 ai partecipanti ad un incontro
internazionale promosso in Vaticano dal Pontificio Consiglio “Cor Unum”.
[4] G.P.II Redemptor Hominis, n.10.
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