L’amore è l’espressione teologica per eccellenza, quella che definisce
la realtà di Dio[1],
la creazione e il fine di ogni cosa. Eppure l’amore umano, vissuto con grande
trasporto, ma sempre con grandi difficoltà, sembra essere oggi un argomento nei
confronti del quale Dio ha poco da dire, da insegnare. Un argomento che la
Chiesa sembrerebbe guardare con sospetto e diffidenza, tanto da porre in
evidenza regole e discipline che appaiono limitare l’esperienza dell’amore.
A sua volta la cultura occidentale che da sempre ha esaltato
l’esperienza dell’amore ponendolo al centro di canti, poemi, romanzi, film,
dipinti, in genere di ogni espressione artistica, ha acuito l’ambiguità di tale
esperienza abusando della parola amore. Si può amare un oggetto (campo in cui
la pubblicistica si ingegna ad associare all’acquisto l’idea di passione, di
piacere), una persona (con una pluralità di modalità- amicale, fraterno,
filiale, passionale…- e senza limiti di età e di sesso). Si può amare un
particolare lavoro, una particolare attività (suonare, ascoltare, leggere…).
Oggi l’amore è sempre più legato al piacere del soggetto che ama,
indipendentemente da chi riceve tale amore: è in corso una sorta di
oggettivizzazione dell’amore e, massimo della modernità, una sorta di
virtualità dell’amore delegato (o perlomeno mediato) dai moderni mezzi di
comunicazione. L’amore è mercificato e non solo in quanto conosce l’alto
profitto della prostituzione, ma in quanto segnato e guidato dalla mentalità
capitalistica e commerciale: se faccio di tutto per essere amabile, per
aumentare il mio valore di appetibilità (a partire dalla confezione esterna che
è il corpo) posso acquistare nel mercato la migliore merce in circolazione.
Valgo e dunque acquisto ciò che corrisponde al mio valore, per un tempo
delimitato, finché uno dei due contraenti non ha trovato una merce migliore da
acquistare a quel prezzo. Cosa rende commercialmente preziosa la mia persona?
Un bel corpo, ovviamente, da tenere sempre in forma e ritoccare anche
chirurgicamente quando occorre; successo e disponibilità economica; carattere
estroverso e audace…
L’amore, dimensione fondamentale e forza irresistibile nella vita
dell’uomo, può dunque assumere caratteristiche ben diverse che possono essere
via via declinate in termini negativi come concupiscenza, libidine, egoismo,
odio, gelosia, invidia, peccato, aggressività, perversione[3]; in
termini positivi come carità, dilezione, misericordia, amicizia, altruismo; in
termini meno marcati da valutazioni morali come passione, sesso, desiderio[4]…
Nel nome dell’amore si compiono anche crimini e omicidi: oggi si coniano
parole nuove (per crimini ben conosciuti anche nel passato), come femminicidio
e stalking, si propagano atti criminali odiosi come le deturpazioni della
persona “amata” con acidi…
[1] “Dio è amore; chi sta nell’amore dimora in
Dio e Dio dimora in lui” (1 Gv 4,16).
[2]
Benedetto XVI, Deus Caritas Est, 2.
La prima lettera enciclica di Papa Benedetto XVI (del 25.12.2005) sarà inevitabilmente il punto di riferimento
costante di tale riflessione.
[3]
La
perversione è spesso
associata al concetto di filia come la pedofilia, la zoofilia o la necrofilia.
Sono tendenze patologiche che ricercano l’eccitazione sessuale attraverso
pratiche legate al dolore – proprio o altrui- come il sadismo o il masochismo,
o al piacere legato agli oggetti (feticismo), al vedere o al farsi vedere
(voyerismo o esibizionismo), all’ascolto (turpiloquio o telefonate oscene), a
funzioni corporee fisiologiche (urina e feci)…
[4]
Agostino, insieme a molti altri
teologi del passato, distingue nettamente l’amore in due estremi: da una parte
l’amore puramente umano, terreno, volto al bene personale e caratterizzato da
perversioni, egoismo, cupidigia o libidine, disordine morale, perversioni,
impurità, turbolenze, litigiosità, invidie, violenze, possesso. Dall’altra
parte abbiamo l’amore divino o spirituale, volto al bene dell’altro e al bene
comune e caratterizzato da oblatività, purezza, pacatezza, rispetto… L’uomo è
chiamato da Dio ad arrivare al secondo amore attraverso la disciplina, la purificazione,
la carità, la fede… (Cf. Agostino, De
gen. Ad litt., 11,15).
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