L’amore è una realtà meravigliosa,

è l’unica forza che può veramente trasformare il cosmo, il mondo!

(Benedetto XVI)



mercoledì 21 maggio 2014

Infatuazione, innamoramento e amore

“La cosa più difficile da trovare nei legami amorosi è l’amore”[1]
 
Prima di introdurci nell’ esperienza dell’amore così come è vissuta nel mondo odierno, sarà utile chiarire la differenza tra alcune realtà che confondiamo con l’amore, in particolare l’infatuazione e l’innamoramento, tappe preliminari che possono portare ad una storia d’amore.
La prima fase che solitamente ci spinge verso una persona è quella dell’infatuazione, in cui ci prendiamo la cosiddetta cotta per qualcuno. Nell’infatuazione manca ancora una reale conoscenza dell’altro, dei suoi interessi, dei suoi gusti, del suo modo di essere, dei suoi progetti, della sua visione della vita. Probabilmente con l’infatuazione non si ama qualcuno ma “qualcosa”: ci attrae un insieme di qualità piuttosto che una persona concreta con i suoi pregi e soprattutto i suoi limiti. L’infatuazione e l’attrazione così come nascono con molta facilità, altrettanto facilmente scompaiono.
La tappa successiva è l’innamoramento. L’attrazione per una persona non è legata solo all’aspetto fisico di questa o a superficiali caratteristiche, ma per l’insieme del suo essere – modo di pensare, di vivere e di comportarsi – visto ancora in maniera ideale, totalmente positiva, esagerata, irreale. Quando ci innamoriamo abbiamo una visione parziale e condizionata emotivamente. A differenza della cotta, quando siamo innamorati conosciamo realmente il nostro partner ma i lati positivi vengono ingigantiti e quelli negativi trascurati: tutto è magico e perfetto.  E soprattutto, l’innamoramento prima o poi finisce, per cedere il passo, a volte, all’amore vero e proprio.
L’innamoramento accade, l’amore invece si sceglie, giorno per giorno. Man mano che la storia va avanti e si conosce sempre meglio la persona di cui ci siamo innamorati, è inevitabile infatti che accanto alle luci emergano anche le ombre di questa persona. E la stessa scoperta la fa il nostro partner, che impara a conoscerci meglio. È allora questo il momento in cui la relazione ci chiede un passaggio di maturità che fa mettere in gioco appunto la nostra libertà: la libertà di accettare l’altro fino ad amarlo per quello che è realmente e quindi anche con i suoi difetti e i suoi limiti. Se non si fa questo importante passaggio, rimarremo ancorati ad un’idea troppo astratta e idealistica dell’amore. Un’idea che, probabilmente, esiste soltanto nelle favole.
Non è strano allora che la storia presto o tardi finisca, e anche in modo improvviso. Svegliarsi e accorgersi che l’altra persona è testarda, per esempio, e chiedersi “com’è che non me ne sono accorto prima?”, significa il più delle volte non aver superato la fase dell’innamoramento, che non ci fa dare il giusto peso ai limiti che l’altro magari ha sempre avuto.
Insomma, tutte le tappe di una storia sono importanti, perché ognuna ha le sue caratteristiche che la rendono unica e necessaria per costruire la relazione con una persona. Non pensiamo però che la tappa più importante sia solo l’ultima. L’innamoramento potrebbe essere una formidabile palestra dell’amore ed anche uno dei momenti fondamentali per il prosieguo della relazione. Dipende da come viene vissuto. Potrebbe dare una bella spinta per prendere lo slancio verso l’amore.
Senza questa spinta tutto diverrebbe più difficile. È anche vero che la spinta non basta, perché poi bisogna dare continuità al rapporto. L’amore bisogna costruirlo: e il cammino che porta a questa meta è lungo tutta una vita.
Nell'innamoramento prevale ancora l'atteggiamento del «prendere»: io desidero l'altro per le emozioni piacevoli che mi provoca, ne ho bisogno, senza di lui sto male, non posso farne a meno, l'altro mi completa. C'è nell'innamoramento qualcosa di biologico come nella attrazione fisica: in entrambi i casi io sono spinto violentemente verso l'altro, ed in ciò non c'è alcunché di male, ed anzi sono un segno tangibile del nostro essere fatti per andare incontro agli altri, ma se sono una premessa all'amore non sono tuttavia ancora amore.
L'innamoramento è una sorta di periodo che viene dato gratuitamente e in cui dedicarsi all'altro non costa niente tanto è bello in sé il farlo; ma esso fatalmente prima o poi finisce e se non si è ben utilizzato questo tempo per imparare ad amare l'altro, allora anche il rapporto finisce. Sono moltissime le persone che nella loro vita continuano ad innamorarsi concludendo di volta in volta, quando l'innamoramento finisce, che il partner non era la persona giusta ed alla successiva occasione si illudono di aver finalmente trovato la persona ideale, il vero amore.
In realtà la persona giusta non esiste, ma esiste o non esiste la capacità di amare le persone così come sono per i loro pregi e per i loro difetti: non si ama qualcuno perché è bravo o forte o intelligente (ci si innamora di queste qualità) ma lo si ama soltanto perché è «lui», vale a dire che si vuole ad ogni costo il «suo» bene.
Ogni cosa comunque ha il suo tempo. Si pensi ad esempio all'incontro tra due persone. In un primo momento ciò che gioca un ruolo decisivo per avvicinare o allontanare i due è proprio l'aspetto fisico e le apparenze più esterne, non fosse altro per il fatto che la vista è un recettore a distanza che ci permette di farci un'idea dell'altro quando ancora non udiamo la sua voce, non sappiamo come la pensa e che tipo sia.
Quando siamo attratti da queste apparenze più esteriori ci avviciniamo all'altro e lo conosciamo meglio e può darsi che il suo mondo interiore, il suo modo di trattarci ci facciano innamorare: siamo innamorati di come lui è e di come ci fa sentire e immediatamente perde di importanza il suo aspetto fisico che pure era stato decisivo per scegliere se avvicinarlo e conoscerlo. Quando si è innamorati ci si può rendere conto che l'altro non è oggettivamente bello, non è perfetto agli occhi degli altri, ma ai nostri occhi tutto ciò che è suo diventa bello, non esiste più la bellezza oggettiva, l'altro stesso diventa il parametro della bellezza: è bello ciò che gli somiglia, è brutto ciò che è diverso da lui.
Se poi questo rapporto si trasforma in amore, se l'altro cioè diviene quel «tu» al quale decido di donare tutto me stesso, non solo perdono qualsiasi importanza gli aspetti fisici esteriori (per cui non si ama di meno la moglie perché invecchia o perché in un incidente ha perso un dito, anche se forse senza quel dito non l'avremmo inizialmente avvicinata), ma anche i suoi modi di essere, di fare, di pensare dei quali ci eravamo innamorati; ormai qualsiasi cosa l'altro faccia o pensi, io voglio dedicarmi a lui per farlo felice.
Questa caratteristica dell'amore profondo, che lo svincola dalle caratteristiche e dalle prestazioni della persona amata, perché è costituito essenzialmente da un «dare» che non deve essere meritato (Cristo è morto per noi quando eravamo ancora peccatori), è particolarmente evidente nel rapporto tra madre e figlio. La madre si dedica totalmente al figlio non per i suoi meriti o per i suoi pregi, ma soltanto perché è suo figlio ed anzi tra tanti figli riceve più cure e attenzioni proprio quello che è più bisognoso, più debole, più malato, più sciagurato e non il migliore.
Certo amare è più impegnativo del semplice innamorarsi, ma è anche più bello, nel senso che conduce ad una felicità più profonda e duratura della gioia che si sperimenta durante l'innamoramento.
Tra i due c'è la stessa differenza che passa tra l'entusiasmo che si solleva all'idea di raggiungere la vetta di una montagna che si contempla dal basso e ci si immagina mentre la si scala, e quindi «si sogna» la montagna ed il nostro essere arditi scalatori, e il vero e proprio salire sulla montagna.
Nella salita reale l'entusiasmo si attenuerà, occorrerà una lunga meticolosa ed anche noiosa preparazione, ci saranno dei momenti di fatica, si sperimenterà il freddo, la paura, la sete e a volte si maledirà l'idea di salire in cima e verrà la tentazione di lasciar perdere tutto e tornare a valle, ma una volta arrivati e durante lo stesso cammino si sperimenterà una felicità profonda che ha il sapore delle cose reali, magari talvolta aspro e amaro, ma senz' altro più consistente e più capace di riempire lo stomaco del sapore tenue e delicato dei sogni.
Infine una constatazione linguistica che fa pensare. «Innamorarsi» è un verbo riflessivo: io innamoro me stesso utilizzando qualcosa come un detonatore che fa partire un'esplosione affettiva che si consuma solo dentro di me. E una esplosione intensa che mi fa provare emozioni bellissime e dolorosissime, ma comunque mi fa sentire terribilmente vivo. Non ho quasi nessun controllo su questo processo che avviene e di cui mi ritrovo spettatore: mi innamoro anche se non voglio, sono travolto dalla passione anche contro ogni mia volontà; «mi innamoro» esattamente come «mi ammalo» o «mi perdo».
«Amare», al contrario, è un verbo transitivo: io amo qualcosa che è al di fuori di me; sono soggetto di una azione che posso fare e non fare; l'amore è una libera scelta, l'innamoramento no.



[1] F. de La Rochefoucauld, Massime (1665), p.102

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