L’eros (da
cui amore erotico) indica l’amore passionale, l’attrazione erotica tra un uomo
e una donna, il desiderio di possedere l’altro/a[1]. L’amore erotico
è l’amore che nasce dall’indigenza e
dal bisogno, da una incompiutezza che ricerca il suo completamento e ne
desidera il possesso.
La philia è “amicizia”, amore fraterno. Indica un
amore umano fatto di affetto, attrazione, gradimento, affezione, simpatia[2]. E’
l’amore di dilezione, caratterizzato dal sentimento della gioia che si prova
nello stare con l’altro, condividendone gioie, dolori, speranze.
L’eros e l’agape sono termini greci che verranno tradotti in latino con amor e caritas[4], spesso
contrapposti in amor concupiscientiae e amor benevolentiae.
[1]
Nella Bibbia l’eros viene narrato in
particolare nel Cantico dei Cantici: “Forte
come la morte è l’amore, tenace come il regno dei morti è la passione: le sue
vampe sono vampe di fuoco, una fiamma viva” (Cant. 8,6). E’ assente nel
Nuovo Testamento.
[2]
Il verbo fileo, di cui l’etimologia è
sconosciuta, è utilizzato 33 volte nella LXX; solo 10 delle quali per tradurre
il verbo ebraico ‘ahab, amare. Più spesso si utilizza nel senso di abbracciare
o baciare (Cf. Ct 1,2); l’unica accezione religiosa si legge in Pro 8,17. Nella
letteratura greca fileo è il verbo più frequente per esprimere l’amore, anche
appassionato o fisico, la tenerezza che si manifesta nel bacio, l’affetto,
l’amicizia, ecc.; indica fondamentalmente un sentimento in cui si mantiene il
controllo di sé; implica misura e nobiltà; infine fileo comporta piacere e
gioia. Tale termine trova
ampio uso nel Vangelo di Giovanni, sotto la forma dell’aggettivo phìlos, per
indicare il rapporto che Gesù ha con i suoi discepoli.
[3]
Il verbo agapào, la cui etimologia è
ugualmente sconosciuta, indica, nella sua accezione fondamentale, benevolenza,
cordialità, liberalità. Implica un giudizio di valore: stimare, apprezzare e
anche ammirare; di conseguenza una sfumatura di preferenza; questo termine è
usato nella letteratura antica più normalmente per le relazioni tra persone
ineguali: il superiore verso l’inferiore, con la sfumatura di condiscendenza,
di volontà di fare del bene; mentre chi riceve dal superiore, manifesta un
amore di gratitudine. Platone ha sottolineato l’aspetto gioioso inerente
all’amore, mentre Aristotele ha insistito sul disinteresse dell’amore, di cui l’espressione
più pura è data dalla madre verso il figlio; l’amore va fino al dono di se
stesso.
Nella LXX, agapao ricorre
268 volte e traduce il verbo ebraico ‘ahab 180 volte; è usato per tutte le
sfumature dell’amore: come attaccamento di un padre per suo figlio, di un uomo
per la sua sposa. Quando si dice che Dio ama, questo implica gratuità,
generosità, e Dio chiede in cambio l’amore fedele dell’uomo.
[4]
Si pensi all’antico inno, di cui parleremo più diffusamente, “ubi caritas et
amor ibi Deus est”, da cui la celebre canzone liturgica il cui titolo traduce
tale frase: “Dov’è carità e amore lì c’è Dio”. Questa attestazione denota come
i due termini in origine non sono visti in opposizione come fa A. Nygren nel
suo classico Eros e agape. La nozione
cristiana dell’amore e le sue trasformazioni (Il Mulino, Bologna 1971). Cf.
i padri greci che descrivono l’amore di Dio per l’umanità come eros in quanto
amore passionale, “amore folle”.
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