L’educazione sessuale non può di conseguenza ridursi ad una serie di
insegnamenti riguardanti le modalità e i rischi relativi al rapporto sessuale,
ma deve essere intesa come educazione all’affettività, educazione integrale ed
armonica della persona[1].
La cultura odierna
tende a presentare la sessualità come uno dei piaceri da soddisfare,
equiparabile agli altri piaceri o ad altri aspetti ludici dell’esistenza o ai
bisogni primari dell’uomo. Questa
considerazione affonda le sue radici in una visione dell’uomo esclusivamente
materialista per cui noi siamo considerati alla stregua degli animali. Se l’uomo è un aggregato di cellule, un insieme di nervi, di impulsi, di
bisogni e nulla di più, è necessario, oltre che giusto, soddisfare qualsiasi
necessità che insorga. L’amore
appare solo come un’idealizzazione di queste reazioni ormonali e chimiche e di
pulsioni fisiche.
Molti giovani, sempre più precocemente, attingono le loro
informazioni sul sesso dalla pornografia diffusa in maniera particolare e
facilmente accessibile su internet. Ne consegue che la sessualità appare come
un gioco di eccitazione/piacere e non come una modalità di relazione umana. Ne
consegue una precoce ricerca del rapporto sessuale e una diffusione della
masturbazione che è vissuta come inevitabile e “normale”, accanto ad un
analfabetismo affettivo che rende i giovani emotivamente fragili e frustrati.
Che vi sia una diffusa ignoranza sull’arte di amare è attestato da
alcune interviste ad adolescenti: “Per me amare è possedere l’altro, farlo
diventare tutto mio”; “Amare è diventare uguali, fare tutto insieme”; “Amare è
andare d’accordo, essere felici, sentirsi riempiti dall’amore dell’altro”; “Non
pensavo che esistesse una relazione tra il sesso e l’amore”[4].
Ingmar Bergman ha fatto dire ad un personaggio di un suo film: “La verità è che
all’Università non ci hanno insegnato ad amare”. Amare è un’arte che se non
viene appresa in famiglia sin dal seno materno, si fa fatica a recuperare e
necessita di specialisti, che sappiano risvegliare l’amore e i suoi effetti
terapeutici sulle ferite più profonde.
Assistiamo
ad una emergenza educativa che deriva sostanzialmente dalla incapacità di una
generazione di adulti di trasmettere alle giovani generazioni i valori e le
regole fondamentali dell’esistenza umana e, quindi, anche dell’amore. C’è oggi
una pericolosa penuria di ambienti educativi veri, di punti fermi di
riferimento, di modelli positivi cui ispirarsi. Una situazione cui non sono più
in grado di far fronte neppure le famiglie, falcidiate dalla piaga del divorzio
e ferite dalla cultura postmoderna che, dominata dalla “dittatura del
relativismo”, rifiuta l’esistenza della verità. Ma senza verità tutto diventa
fluido e non può esservi vera educazione. Non solo. Un individualismo esasperato e sempre più diffuso gonfia a
dismisura l’io, erigendolo a misura di tutto. Gli psicologi ci mettono in
guardia nei confronti di una cultura che produce in massa “narcisi” ripiegati
morbosamente su sé stessi, ermeticamente chiusi, incapaci di relazionarsi con
gli altri, specialmente con le persone dell’altro sesso, affettivamente
immaturi, incapaci di amare.
Benedetto XVI ribadisce:
Da questa sollecitudine per la persona
umana e la sua formazione vengono i nostri “no” a forme deboli e deviate di
amore e alle contraffazioni della libertà [...] In verità, questi “no” sono
piuttosto dei “sì” all’amore autentico, alla realtà dell’uomo come è stato
creato da Dio[5].
Ai partecipanti al Convegno ecclesiale della Diocesi di Roma
del 2006 raccomandava:
In tutta l'opera educativa, nella formazione dell'uomo e del cristiano,
non dobbiamo, per paura o per imbarazzo, lasciare da parte la grande questione
dell'amore: se lo facessimo presenteremmo un cristianesimo disincarnato, che
non può interessare seriamente il giovane che si apre alla vita. Dobbiamo
anche, però, introdurre alla dimensione integrale dell'amore cristiano, dove
amore per Dio e amore per l'uomo sono indissolubilmente uniti e dove l'amore
del prossimo è un impegno quanto mai concreto[6].
[2]
L’antropologia, la psicologia e anche la filosofia concordano che l’uomo è un
soggetto autocosciente nel quale sono riscontrabili tre dimensioni strettamente
connesse tra loro: quella fisica, quella psico-affettiva e quella spirituale.
L’uomo è la sintesi delle relazioni umane che ha vissuto e vive: solo di fronte
ad un “tu” può dire “io”. Per questo la realtà fondamentale della persona umana
è l’amore, l’amare e l’essere amato. Il nuovo principio antropologico non è più
il cartesiano “penso dunque sono”, ma “amo dunque sono”.
[3]
D. Tettamanzi, L’etica sessuale, in
AA. VV., Sessualità da ripensare,
Vita e Pensiero, Milano 1990, p.28.
[4]
Interviste riportate da M. – R. Scotto, Sessualità
tenerezza, Città Nuova, Roma 2009, p. 9.
[5]
Benedetto XVI, Ai partecipanti al IV Convegno ecclesiale nazionale della Chiesa
che è in Italia, “Insegnamenti” II, 2 (2006), p. 474.
[6]
Benedetto XVI, Discorso ai partecipanti al Convegno della Diocesi di Roma,
5.6.2006: http://www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/speeches/2006/june/documents/hf_ben-xvi_spe_20060605_convegno-diocesano_it.html
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