“legare l’amore alla sessualità è una delle idee più bizzarre del
Creatore”[1]
La sessualità è la caratteristica propria di ogni persona che si
esprime, pensa, agisce, ama come uomo o come donna, in modo differente. La
sessualità non si “fa”, perché non è un comportamento, non si “ha”, perché non
è un oggetto, un attributo che si può possedere oppure no[2]. La
sessualità si “è”: si è uomo o donna. Ogni più piccola cellula del nostro
organismo è marcata da un cromosoma che la rende maschile (XY) o femminile (XX).
Analizzate un capello del vostro capo o una cellula epiteliale che si disperde
continuamente dalla pelle: vi dirà se siete maschi o femmine. In questo senso
tutti i rapporti tra le persone sono necessariamente dei rapporti sessuati,
anche se i genitali non sono minimamente coinvolti.
Non solo il nostro corpo è differente a livello sessuale, ma anche il
modo di ragionare, di sentire, di amare è distinto in maschile e femminile. La
parola “sesso” da cui deriva “sessualità” viene etimologicamente da un verbo
latino che significa “diviso”, “distinto”, come se l’uomo e la donna fossero
stati un unico essere che è poi stato diviso.
L’uomo di fronte alla donna si trova ad essere simile, ma diverso a
tutti i livelli. Schematicamente possiamo individuare differenze a livello del
pensiero: più sintetico e semplice quello dell’uomo, più analitico e complesso
quello della donna. Ne deriva che l’uomo è solitamente più esteriore e la donna
più interiore, l’uomo più introverso e la donna più estroversa. Questa
diversità nel modo di pensare, di riflettere, di risolvere i problemi rientra
nel campo della sessualità.
In modo differente vengono espressi anche i propri sentimenti: con più
forza e aggressività nell’uomo, più dolcezza e affetto nella donna; concentrato
sul corpo l’uomo, sui sentimenti la donna. A livello degli organi genitali
quelli dell’uomo sono esterni, in penetrazione, quelli della donna sono
interni, in accoglienza. L’uomo è caratterizzato da una immediata eccitazione,
la donna da una lenta eccitabilità. Inoltre è diverso il modo di cogliere i
valori, di vivere la dimensione spirituale. Anche questa diversità è un aspetto
della sessualità[3].
[1]
M. Kundera, L’insostenibile leggerezza
dell’essere, Adelphi, Milano 1984, p. 299.
[2] Essere o avere? Siamo il nostro corpo o abbiamo il
nostro corpo? E’ la parte di noi che ci permette di esprimerci e relazionare
con gli altri o è solo uno strumento che posso usare a mio piacimento? Sembra
una distinzione di poco conto, ma se chiediamo ad una persona: “Che cosa vuol
dire per te essere maschio o
femmina?”, la maggior parte delle volte risponderà: “Significa avere l’apparato genitale maschile o
femminile”. La risposta ovviamente non è sbagliata, ma riduttiva, e se la
domanda faceva leva sul verbo essere, la risposta viene formulata col verbo
avere. E’ un segnale di come viviamo nella cultura dell’avere anziché
dell’essere, degli oggetti da consumare anziché dei soggetti da amare. La
cultura dell’avere mette in risalto la genitalità, l’istinto, il piacere;
quella dell’essere la sessualità come relazione d’amore, fonte di gioia,
espressione integrale della persona che è corpo, mente, cuore e anima. La
cultura dell’avere vede nell’altro un frutto da cogliere, da possedere, da
usare. Quella dell’essere vede nell’altro un frutto di cui nutrirsi, ma
soprattutto da contemplare, da rispettare.
[3] Un’attività molto
interessante da proporre a gruppi di adolescenti è quella di dividerli in
maschi e femmine e farli rispondere a queste semplici domande che evidenziano
il modo diverso di rapportarsi tra loro e con la società: “quali sono, secondo
voi ragazzi, i difetti che le ragazze vi rinfacciano? Quali sono le cose che
apprezzano maggiormente di voi ragazzi? Quali sono le cose che voi apprezzate
delle ragazze e quali non sopportate o vi infastidiscono?”. Ovviamente le
ragazze risponderanno alle stesse domande, ma a ruoli invertiti. Ne conseguirà
una discussione animata e molto stimolante!
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