"Donne
non si nasce ma si diventa"?[1]
Se le differenze sessuali hanno nel passato favorito
una sopraffazione dell’uomo sulla donna, oggi si tende giustamente a
ristabilire la pari dignità dei due sessi. Pari dignità non significa tuttavia
essere uguali: è proprio riconoscendo le diversità che è possibile superare i
conflitti che spesso sorgono a livello di coppia come conseguenza di
incomprensioni. La teoria del genere (gender
theory), oggi predominante nella cultura occidentale, sostiene che la
natura umana non esiste perché l’essere umano sarebbe unicamente il risultato
della cultura. Essa tenta di dimostrare che la mascolinità e la femminilità non
sono altro che costruzioni sociali nate dal contesto culturale di ogni epoca. Vale
la pena approfondire l’argomento.
La persona, secondo l’ideologia gender, deve sentirsi libera di
esprimere ciò che si sente di essere, anche in contraddizione rispetto a ciò
che è per natura: si sente donna in un corpo di uomo (transessuale)? Si sente
uomo attratto da altri uomini (omosessuale)? Si sente di entrambi e sessi e
attratto da entrambi (bisessuale)? La lista delle possibili combinazioni è
lunga e molto complessa[2].
Alla base di tale ideologia c’è la spaccatura tra corpo e identità
sessuale: io ho un determinato corpo, ma sono quello che mi sento di essere. E
devo essere rispettato per quello che sento o voglio essere.
Il problema maggiore che scaturisce da tale ideologia sono le possibili
e logiche conseguenze. Non dobbiamo, ad esempio, più parlare di mamma e papà: i
miei genitori possono essere due uomini o due donne, o altre combinazioni
ulteriori. Meglio non discriminare nessuno e parlare di genitore 1 e genitore
2. Non dobbiamo più parlare di maschio o femmina: Facebook (perlomeno nella
versione americana) si è già adeguata e offre una gamma di più di 50 possibili
varianti. Non dobbiamo educare i figli imponendogli ruoli, giochi, vestiti,
maschili o femminili. Educhiamoli a scegliere ciò che di volta in volta sentono
più aderente alla loro identità, senza influenzarli con i nostri schemi
mentali. Non educhiamo i bambini con libri che parlano di principesse in attesa
del principe azzurro e via discorrendo: meglio offrire subito tante possibili
varianti per lasciarli liberi di formare la propria sessualità senza
costrizioni. Pena essere tacciati di omofobia
e magari denunciati in base a leggi che si stanno elaborando.
La nostra convinzione è che negare le differenze e le reciproche
complementarietà sia la vera discriminazione del nostro tempo. Diverso non vuol
dire peggiore, ma solo differente. In quanto uomo non posso denunciare nessuno
per la mia costitutiva incapacità di portare avanti una gravidanza, così come
una donna non può appellarsi a nessuna legge per il fatto di non poter usare adeguatamente
un vespasiano. I tentativi di annullare le differenze non sono il segno di una
società più democratica, semmai di una più totalitaria.
[1]
Simone de Beauvoir, Il
secondo sesso, il Saggiatore, Milano 2008 (or.: 1949). Prosegue: “Nessun destino biologico, psichico, economico definisce
l'aspetto che riveste in seno alla società la femmina dell'uomo; è l'insieme
della storia e della civiltà a elaborare quel prodotto intermedio tra il
maschio e il castrato che chiamiamo donna”.
[2]
Un esempio tratto dal mondo dello spettacolo: il Festival della canzone europea
ha premiato nel maggio 2014 l’austriaco Tom Neuwirth, in arte Conchita Wurst, apparso per
l’occasione nelle “vesti” di donna barbuta, di travestito con la barba.
L’ambiguità e l’indeterminazione del genere sessuale diviene lo strumento per
superare ogni identità naturalmente costituita.
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