Riprendiamo dal sito della rivista Tempi un testo del rabbino Jonathan Sacks pubblicato il 30/11/2014.
Il Centro culturale Gli scritti (3/12/2014)
Pubblichiamo alcuni estratti dell’intervento del rabbino Jonathan Sacks, considerato la massima autorità spirituale e morale ebraica ortodossa in Gran Bretagna, al Colloquio interreligioso internazionale “Humanum – La complementarietà fra uomo e donna”, Roma 17-19 novembre.
Stamattina voglio cominciare la nostra conversazione raccontando la storia della più bella idea nella storia della civiltà: l’idea dell’amore che porta nuova vita nel mondo. Ci sono molti modi di raccontarla. Per me è una storia fatta di sette momenti chiave, ciascuno dei quali sorprendente e inatteso.
Il primo, secondo un articolo scientifico apparso di recente, ebbe luogo 385 milioni di anni fa in un lago della Scozia. Fu allora, secondo la recente scoperta, che due pesci si unirono per realizzare il primo esempio di riproduzione sessuale noto alla scienza. Fino ad allora la vita si era propagata in modo asessuato, per divisione cellulare, gemmazione, frammentazione o partenogenesi: tutte forme più semplici e più economiche della divisione della vita in maschio e femmina, ciascuno dei due con un ruolo diverso nella creazione e nel sostentamento della vita. Quando consideriamo quanto sforzo ed energia richiede la congiunzione del maschio e della femmina nel regno animale – in termini di esibizione, rituali di corteggiamento, rivalità e violenze – è stupefacente che la riproduzione sessuale abbia cominciato a esistere. I biologi non sono sicuri del perché. Alcuni dicono che era funzionale alla protezione dai parassiti, o all’immunizzazione da malattie. Altri dicono semplicemente che l’incontro di opposti genera diversità. Ma in tutti i modi, quei pesci in Scozia scoprirono qualcosa di nuovo e magnifico, che da allora è stato copiato virtualmente da tutte le forme di vita evolute. La vita comincia quando il maschio e la femmina si incontrano e si abbracciano.
Monoteismo e monogamiaPare che fra i cacciatori-raccoglitori il legame di coppia fosse la norma. Poi sorsero l’agricoltura e i surplus economici, le città e la civiltà, e per la prima volta stridenti ineguaglianze cominciarono a emergere fra ricchi e poveri, potenti e senza potere. I grandi ziggurat della Mesopotamia e le piramidi dell’antico Egitto con la loro base larga e la cima stretta erano affermazioni monumentali di pietra di una società gerarchica nella quale i pochi avevano potere sui molti. E la più ovvia espressione di potere fra i maschi alfa, sia umani che primati, è di dominare l’accesso alle donne fertili e così massimizzare la trasmissione dei propri genî alla generazione seguente. Da qui la poligamia, che esiste nel 95 per cento dei mammiferi e nel 75 per cento delle culture studiate. La poligamia è l’espressione ultima della diseguaglianza, perché significa che molti maschi non avranno mai la possibilità di avere una moglie e un figlio. E l’invidia sessuale è stata, per tutta la storia, fra gli animali come fra gli umani, un fattore primario di violenza. È questo che rende così rivoluzionario il primo capitolo della Genesi, nella sua affermazione che ogni essere umano, indipendentemente dalla classe, dal colore della pelle, dalla cultura o dal credo, è fatto a immagine e somiglianza di Dio stesso.
Sappiamo che nel mondo antico a essere considerati a immagine di Dio erano i governanti, i re, gli imperatori e i faraoni. Quello che la Genesi dice è che siamo tutti di stirpe reale. Abbiamo tutti la stessa dignità nel regno della fede sotto la sovranità di Dio. Da ciò consegue che ciascuno di noi ha un uguale diritto a sposarsi e ad avere figli, ed è per questo che, a prescindere dall’interpretazione che diamo della storia di Adamo ed Eva, la norma presupposta da quella storia è: una donna, un uomo. O, come la Bibbia dice, «per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie, e saranno una carne sola». La monogamia non divenne immediatamente la norma, nemmeno in ambito biblico. Ma molte delle sue storie più famose, come quella della tensione fra Sara e Agar, o di Lea e Rachele e i loro figli, o di Davide e Betsabea, o delle molte mogli di Salomone, sono tutte critiche che puntano in direzione della monogamia.
E c’è una profonda connessione fra il monoteismo e la monogamia, come ce n’è una, nella direzione opposta, fra idolatria e adulterio. Il monoteismo e la monogamia riguardano la relazione totale fra un io e un Tu, fra me stesso e un altro, sia esso umano o divino. Ciò che rende insolito l’apparire della monogamia è il fatto che normalmente i valori di una società sono imposti dalla classe dominante. E la classe dominante in ogni società gerarchica ha da guadagnarci dalla promiscuità e dalla poligamia, entrambe le quali moltiplicano le possibilità dei miei genî di essere trasmessi alla generazione successiva. Con la monogamia i ricchi e potenti ci perdono, mentre i poveri e i senza potere ci guadagnano. Il ritorno della monogamia andava contro la normale direzione del cambiamento sociale e rappresentò un vero trionfo per l’uguale dignità di tutti. Ogni sposo e ogni sposa sono di stirpe reale; ogni casa è una reggia quando vi abita l’amore.
Un patto è come il matrimonioIl quarto importante sviluppo fu il modo in cui questo trasformò la vita morale. Il lavoro dei biologi con le loro simulazioni al computer e il loro ricorso al “dilemma dei prigionieri” per spiegare perché fra tutti gli animali sociali esista il comportamento altruistico reciproco, ci sono diventati familiari. Noi ci comportiamo con gli altri come vorremmo che gli altri si comportassero con noi, e rispondiamo loro come vorremmo che loro rispondessero a noi. Come ha sottolineato C. S. Lewis nel suo libro L’abolizione dell’uomo, la reciprocità è la regola d’oro comune a tutte le grandi civiltà. Ciò che di nuovo e notevole presentava la Bibbia ebraica, era l’idea che l’amore, e non semplicemente la giustizia, è il principio guida della vita morale. I tre amori: «Amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua mente»; «Ama il prossimo tuo come te stesso»; «Ama lo straniero perché sai come ci si sente a essere uno straniero». O, detto in un altro modo, come Dio ha creato il mondo naturale nell’amore e nel perdono, così noi siamo incaricati di creare il mondo sociale nell’amore e nel perdono. E quell’amore è una fiamma che viene accesa nel matrimonio e nella famiglia. La moralità è l’amore fra il marito e la moglie e fra il genitore e il figlio, estesi verso l’esterno a tutto il mondo.
Il quinto sviluppo ha caratterizzato l’intera struttura dell’esperienza ebraica. Nell’antico Israele una forma di accordo originariamente secolare, chiamata patto, fu presa e trasformata in un nuovo modo di pensare la relazione fra Dio e l’umanità, nel caso di Noè, fra Dio e un popolo nel caso di Abramo e più tardi degli israeliti al Monte Sinai. Un patto è come un matrimonio. È un impegno di lealtà reciproca e di fiducia fra due o più persone a lavorare insieme per ottenere insieme ciò che da solo nessuno dei due potrebbe ottenere. E c’è una cosa che nemmeno Dio può ottenere da solo: vivere nel cuore umano. Per questo ha bisogno di noi. Perciò la parola ebraica “emunah”, erroneamente tradotta come fede, in realtà significa fedeltà, lealtà, costanza, non abbandonare quando si fa dura, avere fiducia nell’altro e onorare la fiducia dell’altro verso di noi. Ciò che il patto operò, come vediamo in molti profeti, fu di far comprendere la relazione fra noi e Dio nei termini del rapporto fra sposo e sposa, fra moglie e marito. L’amore divenne non solo la base della moralità, ma anche della teologia. Nell’ebraismo la fede è un matrimonio. (…)
Questo ci conduce a una sesta idea: che la verità, la bellezza, la bontà e la vita non esistono in nessuna persona o entità a sé stante, ma nel “fra”, ciò che Martin Buber ha chiamato l’interpersonale, il contrappunto del parlare e ascoltare, del dare e ricevere. Attraverso tutta la Bibbia e la letteratura rabbinica, il veicolo della verità è la conversazione. Nella rivelazione Dio parla e ci chiede di ascoltare. Nella preghiera noi parliamo e Dio ascolta. Non c’è mai una voce sola. Nella Bibbia i profeti discutono con Dio. Nel Talmud i rabbini discutono fra di loro. In effetti a volte io penso che Dio abbia scelto il popolo ebraico perché Gli piace discutere. (…) Il profeta Malachia dice che «le labbra del sacerdote dovrebbero custodire la conoscenza e dalla sua bocca uno dovrebbe cercare la legge». Il libro dei Proverbi della donna di valore dice che «apre la sua bocca con sapienza, e sulla sua lingua c’è la legge della bontà». È questa conversazione fra voci maschili e femminili, fra verità e amore, fra giustizia e misericordia, legge e perdono, che caratterizza la vita spirituale. Nei tempi biblici ogni ebreo doveva dare un mezzo siclo al Tempio per ricordarci che siamo solo una metà. Ci sono culture che insegnano che non siamo nulla. Altre che insegnano che siamo tutto. Il punto di vista ebraico è che siamo una metà e che dobbiamo aprirci a un altro se vogliamo diventare un intero.
Ciò che era unito ora è separatoTutto questo ha portato al settimo risultato, e cioè che nell’ebraismo la casa e la famiglia divennero la scena centrale della vita di fede. Nell’unico verso della Bibbia nel quale si spiega perché Dio scelse Abramo, il Signore dice: «Io l’ho prescelto perché ordini ai suoi figli, e alla sua casa dopo di lui, che seguano la via del Signore per praticare la giustizia e il diritto». Abramo non fu scelto per governare un impero, comandare un esercito, compiere miracoli o pronunciare profezie, ma semplicemente perché fosse un genitore. In uno dei più famosi passaggi dei testi ebraici, Mosè ordina: «Insegnerai queste cose ripetutamente ai tuoi figli, parlandone quando siedi a casa o procedi per la strada, quando ti corichi e quando ti alzi». I genitori devono essere educatori, l’educazione è la conversazione fra le generazioni, e la prima scuola è la casa. Perciò noi ebrei siamo un popolo intensamente orientato alla famiglia, ed è questo che ci ha salvato dalla tragedia. Dopo la distruzione del Secondo Tempio nell’anno 70, gli ebrei si dispersero in tutto il mondo, ovunque una minoranza, ovunque privi di diritti, e soffrirono alcune delle peggiori persecuzioni mai conosciute da un popolo. E tuttavia gli ebrei sopravvissero come popolo perché non persero mai tre cose: il loro senso della famiglia, il loro senso della comunità e la loro fede. (…)
Il matrimonio e la famiglia sono il luogo dove la fede trova la sua casa e dove la Divina presenza vive nell’amore fra marito e moglie, genitore e figlio. Cos’è cambiato, allora?(…) Ciò che ha reso la famiglia tradizionale un’opera d’arte religiosa, è ciò che essa ha unito insieme: attrazione sessuale, desiderio fisico, amicizia, compagnia, affinità emotiva e amore, generazione dei figli e loro protezione e cura, loro prima educazione e immissione in un’identità e in una storia. Raramente un’istituzione ha riunito insieme così tante pulsioni e desideri diversi, ruoli e responsabilità. Ha dato senso al mondo e gli ha dato un volto umano, il volto dell’amore. Per una grande varietà di ragioni, alcune delle quali hanno a che fare con sviluppi medici come il controllo delle nascite, la fecondazione assistita e altri interventi genetici, altre con cambiamenti morali come l’idea che siamo liberi di fare tutto quello che vogliamo se non danneggia altri, alcune con il trasferimento di responsabilità dall’individuo allo Stato, e altri più profondi cambiamenti nella cultura dell’Occidente, quasi tutto ciò che il matrimonio una volta aveva riunito insieme, ora è stato separato.
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