Maurizio Schopflin
San Bonaventura:
l'amore come via all'incontro con Dio
l'amore come via all'incontro con Dio
È stato scritto che la spiritualità francescana, debitrice nei confronti di Ugo e Riccardo di S. Vittore, di san Bernardo e di sant'Agostíno, seppe raggiungere un perfetto equilibrio tra elemento affettivo (tanto presente nella personalità del poverello di Assisi) ed elemento speculativo. In questa sintesi - che trovò in Bonaventura* l'interprete più geniale - un ruolo di grande importanza è giocato dall'amore: «Il naturale e il soprannaturale vengono congiunti dall'amore francescano. Dio per amore crea il mondo, per amore lo ricrea, amore è il vincolo che unisce le creature al Creatore, amore è la divisa dei frati minori» [1].
Bonaventura compendiò le linee essenziali della sua complessiva speculazione nell'Itinerarium mentis in Deum, opera nella quale è possibile reperire i tratti fondamentali della sua concezione dell'amore, peraltro mai fatta oggetto di una teorizzazione organica, eppure di indubbia centralità. Fin dal Prologo, il filosofo di Bagnoregio indica con chiarezza l'insostituibile necessità dell'amore al fine del raggiungimento della perfezione, quell'amore per il crocifisso che rese possibile la piena immedesimazione di san Paolo con il Signore e che «assorbì tanto la mente di Francesco che essa finì per trasparire nella sua carne» [2].
Dunque, il vertice della contemplazione si raggiunge non attraverso la sapienza, ma attraverso il desiderio, che imprime all'anima quel dinamismo che solo può condurla a Dio, e che è la condizione necessaria per ricevere il dono della sapienza mistica. L'estasi non è esperienza alla quale si possa giungere attraverso la conoscenza, ma è uno stato che si possiede, e che si conosce solo nella misura in cui lo si possiede.
E l'amore che conduce all'esperienza dell'attingimento di Dio e all'unione con lui, che si ottengono mediante un processo di elevazione. Su tale processo Bonaventura si sofferma con particolare insistenza poiché, in certa misura, costituisce il cuore della sua speculazione, e lo spinge a svolgere profonde considerazioni sulla questione dell'interiorità, a cui egli guarda secondo una prospettiva tipicamente agostiniana, ovvero facendo coincidere il massimo grado della trascendenza con íl massimo grado dell'interiorità. «Così disposto, il nostro spirito diviene gerarchico, ossia idoneo a salire in alto, in conformità a quella Gerusalemme celeste nella quale nessuno può entrare se prima la grazia non la fa discendere nel suo cuore, come Giovanni ha visto nell'Apocalisse» [6].
Seguendo questa linea di pensiero, il santo dottore invita a un fecondo ripiegamento nell'interiorità - «Entra, dunque, in te stesso e guarda con quale fervore la tua mente ama se stessa» [7] - attraverso il quale è possibile avvicinarsi, per via analogica, al mistero dell'amore che unisce le tre Persone divine. Infatti, quando l'anima, nello stato di grazia, conosce intimamente se stessa, conosce anche la trascendenza che è in lei e può, grazie alla forza dell'amore, uscire da se stessa ed entrare in Dio. L'amore viene a costituire in tal modo la via per realizzare l'estasi, ovvero la contemplazione spirituale. Particolarmente ricche di valore risultano a questo proposito le seguenti espressioni bonaventuriane contenute nella quarta parte dell'Itinerarium: «Dopo aver riacquistato tutti i sensi spirituali, vedendo e ascoltando, odorando, gustando e abbracciando il suo sposo, l'anima può cantare, come la sposa del Cantico dei Cantici, il quale è stato composto per esercitarla nella contemplazione di questo quarto grado, che nessuno comprende, all'infuori di chi lo riceve, perché consiste in un'esperienza affettiva più che in una considerazione di ordine razionale» [8].
Non v'è pertanto alcun dubbio che Bonaventura abbia inteso affidare all'amore la capacità di trasfondere la vita divina nell'uomo il quale a essa desidera innalzarsi. Anzi, è proprio l'amore che conferisce il sapore più autentico anche alla ricerca filosofica, come ha ricordato Gilson: «In effetti, laddove la ragione è sufficiente per determinare l'assenso, la fede non può trovare spazio; accade, però, più spesso che la fede si occupi di un oggetto troppo alto perché possiamo coglierlo razionalmente. Non è dunque più mediante la ragione, ma mediante l'amore per questo oggetto che noi facciamo atto di fede. Ed è a questo momento che anche la speculazione filosofica entra in gioco. Colui che crede in virtù dell'amore, vuole avere delle sue ragioni per la sua credenza; nulla è più dolce per l'uomo di comprendere ciò che ama; la filosofia, dunque, nasce da un bisogno del cuore che vuole gustare con maggiore pienezza l'oggetto della sua fede» [9].
Tuttavia, anche nel momento dell'estasi, l'uomo non perde le proprie facoltà, ma l'anima, come ha scritto Giovanni Zuanazzi, «riversa tutta la sua conoscenza in un supremo slancio affettivo, per aderire a Dio solo con la volontà. Essa rinuncia, dunque, alla pretesa di conoscere non per ridursi al silenzio, ma per amare, e soprattutto per lasciarsi amare da Dio» [10]. In questa prospettiva, diventa comprensibile l'appello che Bonaventura rivolge a chi leggerà il suo Itinerarium: «Pertanto, invito, anzitutto, il lettore al gemito della preghiera nel nome del Cristo crocifisso, il cui sangue ci purifica dalle sozzure dei nostri peccati, perché non creda che gli basti la lettura senza l'unzione, la speculazione senza la devozione, la ricerca senza l'ammirazione, l'attenzione senza l'esultanza, l'impegno senza la pietà, il sapere senza la carità, l'intelligenza senza l'umiltà, lo studio senza la grazia divina, lo specchio senza la sapienza ispirata da Dio» [11]. E poco dopo, come a non voler lasciare adito a dubbi circa la decisiva importanza rivestita dall'amore, il Dottore Serafico affermerà di aver destinato le sue meditazioni «a coloro che amano la divina sapienza» [12].
NOTE
* Nato nel 1217/1221 a Bagnoregio presso Viterbo, lasciato il nome di Giovanni Fidanza, si fece francescano, diventando maestro nell'università di Parigi, e in seguito ministro generale dell'ordine e cardinale. Tra i suoi scritti si ricordano l'Itinerarium mentis in Deum, il De reductione artium ad theologiam e iCommentarii in quattuor libros Sententiarum Petri Lombardi. Bonaventura attuò una ripresa di temi agostiniani, sostenendo la tesi dell'illuminazione divina che guida l'anima lungo il cammino della conoscenza e della vita morale grazie alla sinderesi, sorta di criterio naturale di giudizio che indirizza al bene. Molto importante è la tonalità mistica della riflessione bonaventuriana: esistono sei gradi di ascesa verso Dio, fino alla contemplazione finale di lui come pienezza dell'essere e sommo bene. Al vertice di questo itinerario, Bonaventura pone l'estasi mistica, quando la grazia divina innalza l'anima umana, così che la sua ignoranza diventa dotta e la sua oscurità viene illuminata dalla potente luce di Dio. Morì nel 1274.
1 G. Bonafede, I Mistici medioevali, in U. A. Padovani (a cura di), Grande antologia filosofica, Marzorati, Milano 1966, vol. IV, p. 1486. Il Bonafede ha pure indicato i caratteri essenziali della meditazione sull'amore propria dei benedettini, il cui scopo «è non di formare degli intelletti che sappiano discutere sulla natura dell'amore, ma formare delle anime che sappiano amare» (p. 1485), e di quella domenicana, considerata prevalentemente speculativa, ma dalla quale certamente «l'amore non è escluso... esso è più contenuto, è meno espansivo» (p. 1486).
2 Bonaventura da Bagnoregio, L'itinerario della mente in Dio, La Scuola, Brescia 1995, p. 64. Con questa espressione incisiva Bonaventura si riferisce al miracolo delle stimmate che s'impressero sul corpo di Francesco alla Verna nel settembre del 1224.
3 Ibid., p. 133.
4 Cfr. C.-A. Bernard, Il Dio dei mistici, San Paolo, Cinisello Balsamo 1996, p. 278.
5 Bonaventura da Bagnoregio, L'itinerario della mente in Dio, op. cit., p. 135. Su ciò ha scritto considerazioni interessanti S. Vanni Rovighi, San Bonaventura, Vita e Pensiero, Milano 1974, pp. 89-91, all'interno dell'ultimo capitolo intitolato Oltre la ragione. Cfr. pure A. Poppi, Studi sull'etica della prima scuola francescana, Centro Studi Antoniani, Padova 1996, pp. 21-40, ove l'autore affronta il tema Razionalità e felicità nel pensiero di San Bonaventura e nelle «filosofie del desiderio».
6 Bonaventura da Bagnoregio, L'itinerario della mente in Dio, op. cit., p. 110.
7 Ibid., p. 95.
8 Ibid., p. 109. A commento di questi testi, si può leggere quanto ha annotato T. Moretti-Costanzi, L'attualità di S. Bonaventura nel «Cristianesimo-filosofia»: l'«intellectus fidelis», in Aa.vv., S. Bonaventura. 1274-1974, Collegio S. Bonaventura, Grottaferrata 1974, vol. III, p. 78.
9 Citato da G. Morra, S. Bonaventura, in Aa.vv., Questioni di storiografia filosofica, La Scuola, Brescia 1975, vol. I, p. 590.
10 G. Zuanazzi, Introduzione a Bonaventura da Bagnoregio, L'itinerario della mente in Dio, op. cit., p. 42.
11 Bonaventura da Bagnoregio, L'itinerario della mente in Dio, op. cit., p. 65.
12 Ibidem.
1 G. Bonafede, I Mistici medioevali, in U. A. Padovani (a cura di), Grande antologia filosofica, Marzorati, Milano 1966, vol. IV, p. 1486. Il Bonafede ha pure indicato i caratteri essenziali della meditazione sull'amore propria dei benedettini, il cui scopo «è non di formare degli intelletti che sappiano discutere sulla natura dell'amore, ma formare delle anime che sappiano amare» (p. 1485), e di quella domenicana, considerata prevalentemente speculativa, ma dalla quale certamente «l'amore non è escluso... esso è più contenuto, è meno espansivo» (p. 1486).
2 Bonaventura da Bagnoregio, L'itinerario della mente in Dio, La Scuola, Brescia 1995, p. 64. Con questa espressione incisiva Bonaventura si riferisce al miracolo delle stimmate che s'impressero sul corpo di Francesco alla Verna nel settembre del 1224.
3 Ibid., p. 133.
4 Cfr. C.-A. Bernard, Il Dio dei mistici, San Paolo, Cinisello Balsamo 1996, p. 278.
5 Bonaventura da Bagnoregio, L'itinerario della mente in Dio, op. cit., p. 135. Su ciò ha scritto considerazioni interessanti S. Vanni Rovighi, San Bonaventura, Vita e Pensiero, Milano 1974, pp. 89-91, all'interno dell'ultimo capitolo intitolato Oltre la ragione. Cfr. pure A. Poppi, Studi sull'etica della prima scuola francescana, Centro Studi Antoniani, Padova 1996, pp. 21-40, ove l'autore affronta il tema Razionalità e felicità nel pensiero di San Bonaventura e nelle «filosofie del desiderio».
6 Bonaventura da Bagnoregio, L'itinerario della mente in Dio, op. cit., p. 110.
7 Ibid., p. 95.
8 Ibid., p. 109. A commento di questi testi, si può leggere quanto ha annotato T. Moretti-Costanzi, L'attualità di S. Bonaventura nel «Cristianesimo-filosofia»: l'«intellectus fidelis», in Aa.vv., S. Bonaventura. 1274-1974, Collegio S. Bonaventura, Grottaferrata 1974, vol. III, p. 78.
9 Citato da G. Morra, S. Bonaventura, in Aa.vv., Questioni di storiografia filosofica, La Scuola, Brescia 1975, vol. I, p. 590.
10 G. Zuanazzi, Introduzione a Bonaventura da Bagnoregio, L'itinerario della mente in Dio, op. cit., p. 42.
11 Bonaventura da Bagnoregio, L'itinerario della mente in Dio, op. cit., p. 65.
12 Ibidem.
San Tommaso d'Aquino:
l'amore è sempre amore di Dio
l'amore è sempre amore di Dio
Per inquadrare la questione dell'amore nel pensiero di san Tommaso d'Aquino*, è opportuno richiamare inizialmente l'attenzione sulla concezione che dell'amore divino ha il filosofo domenicano, al fine di poter poi meglio comprendere quale sia il significato dell'amore umano - il quale trova la sua giustificazione ultima e la sua più profonda motivazione proprio in rapporto al protagonismo amoroso di Dio.
Nella ventesima questione della prima parte della Summa theologiae, Tommaso affronta esplicitamente l'argomento dell'amore di Dio, e in quattro articoli sintetizza la propria dottrina'. Innanzitutto, egli afferma che in Dio v'è amore, in quanto tale potenza è al fondamento della volontà e all'origine di qualsiasi altra facoltà appetitiva. In secondo luogo, ribadisce la certezza che Dio ami tutti gli esseri esistenti. Nel terzo articolo - sulla scia dell'insegnamento di Agostino - precisa che l'amore di Dio conosce gradi diversi di intensità, i più alti dei quali egli riserva al Figlio e alle creature razionali. Infine, conclude con l'affermazione che Dio ama sempre in misura maggiore ciò che è più elevato. Il Dottore Angelico sottolinea inoltre la completa gratuità dell'amore divino, di un Dio che ha voluto comunicare alle creature l'inesauribile positività dei suoi doni: «Dio ama tutto ciò che esiste. Infatti, tutto ciò che esiste, in quanto esiste, è buono: lo stesso essere di ciascuna cosa è un bene, e similmente lo è qualunque sua perfezione. Si è già detto che la volontà di Dio è la causa di tutte le cose: pertanto ciascun ente possiede un grado di essere e di bene corrispondente a quello che Dio gli ha accordato. Dunque, a qualsiasi realtà che esiste Dio vuole del bene e dal momento che voler bene significa amare è chiaro che Dio ama tutto ciò che esiste... L'amore divino crea la bontà delle cose e in esse la infonde» [2].
Dinanzi a questo Dio che lo ama, l'uomo può dimostrare la sua capacità di amore, la quale va in certo modo a coincidere con la possibilità che egli detiene di cogliere il Sommo Bene, ovvero la perfezione. Tommaso collega strettamente, infatti, l'atto d'amore alla presenza del bene: «È necessario dunque che causa dell'amore sia propriamente ciò che ne costituisce l'oggetto. L'oggetto proprio dell'amore è il bene, in quanto, come si è già detto, l'amore implica una sorta di connaturalità o compiacenza dell'amante nei confronti dell'amato... Donde consegue che il bene è la causa vera e propria dell'amore» [3].
Sviluppando le sue tesi sull'amore umano nei confronti di Dio, l'Aquinate contempla, in primo luogo, il problema concernente la possibilità per l'uomo di amare il creatore in modo disinteressato. Era questo un argomento molto vivo nel dibattito filosofico-teologico del tempo, e Tommaso vi si inserisce con particolare impegno e sicura autorevolezza, proponendo una risposta che caratterizza decisamente la sua dottrina, come ha annotato Pierre Rousselot: «Come può l'uomo amare Dio più di se stesso? Rispondere semplicemente che l'uomo riconosce in Dio un bene superiore a se stesso, dal momento che il suo proprio essere non è altro che un'imitazione dell'essere di Dio e un dono della bontà divina, significa sottolineare una differenza che lascia intatto il primato dell'amore di sé... Bisognerà trovare un principio che porti l'uomo a tendere a Dio come bene così spontaneamente, naturalmente, direttamente come tende al proprio bene: tale principio è quello dell'unità... Una realtà è amata in quanto fa un tutt'uno con il soggetto che la ama» [4].
In effetti, Tommaso era stato esplicito a questo proposito, e aveva sostenuto che l'uomo, appartenente naturalmente a Dio, trova in sé un'istintiva predisposizione ad amare Dio più di se stesso [5]: «Il dottore angelico - scrive Garrigou-Lagrange - stabilisce, senza nessuna affinità col panteismo, che qualsiasi natura creata, anzitutto quando è dotata di intelligenza e di volontà, è naturalmente incline ad amare Dio, suo autore, più di se stessa, come nell'organismo qualsiasi parte ama naturalmente l'insieme di questo più di se stessa... Se fosse altrimenti, la nostra inclinazione naturale primordiale sarebbe perversa, il che non è possibile, poiché essa viene da Dio» [6].
Tommaso ha pure la certezza che tutto tende verso Dio e che tutto a lui è ordinato [7]: ciò comporta che ciascun desiderio umano sia riconducibile a tale tensione, cosicché anche ogni manifestazione e volontà d'amore è da considerarsi finalizzata a Dio, secondo quel criterio unitario che accorda pienamente amore di sé e amore di Dio. Per tale motivo, l'amore che l'uomo nutre per se stesso non è altro che una forma di amore per Dio, tanto che si può affermare che l'uomo è naturalmente capace di amare Dio sopra ogni cosa, come si legge nella Summa: «Amare Dio sopra tutto è connaturale all'uomo; e anche a qualunque altra creatura, non soltanto razionale, ma anche irrazionale e addirittura inanimata, secondo il modo proprio di ciascuna» [8].
L'Aquinate si fa dunque paladino di una concezione che tende a superare i conflitti per approdare a una grande sintesi, imperniata sul concetto di amore-amicizia come superamento dell'amore-desiderio puramente egoistico, e come sentimento originario che spinge ogni essere verso Dio. Tale amore-amicizia è la caritas, e consiste nel moto dell'animo che assume per oggetto colui al quale si vuole bene e non il bene che si vuole a qualcuno. Infatti, amare di amore-amicizia significa guardare all'amato per se stesso in modo disinteressato, mentre ciò verso cui si rivolge l'amore-desiderio è amato per un altro, perché si vuol farne il bene di un altro, dunque non è amore in senso pieno [9]. Ciò vale a dire che amare Dio per la propria felicità significa amarlo dí un amore-desiderio, poiché il vero oggetto dell'amore, in questo caso, non è Dio, ma l'uomo che considera se stesso come fine ultimo, e considera invece Dio come un bene strumentale, dunque parziale e non perfetto e infinito. Spiega Umberto Galeazzi: «Considerare il Bene che è Dio come bene proprio significa per l'uomo spezzare la prigionia della propria finitezza, aderendo all'Essere infinito e compiacendosi di Lui. Questa considerazione, implicita nell'amore di amicizia, non è mai così vera come nell'amore verso Dio, in cui è la verità di ogni altro amore. In Dio è il vero bene di ogni creatura, perché in Lui c'è l'esemplare perfetto di ognuno e perché il suo amore creatore che dona l'essere vuole donarci anche il pieno compimento» [10].
Muovendosi in questa prospettiva, Tommaso afferma che l'amore dell'uomo per Dio, lungi dal compromettere la libertà e la piena realizzazione dell'essere umano, costituisce la via necessaria per raggiungere tali mete. Il teocentrismo si rivela in realtà la più autentica forma di antropocentrismo, e l'uomo comprende che non può fare a meno di Dio se non a prezzo del tradimento della sua più intima indole, che è naturalmente orientata verso Dio [11] L'Aquinate palesa ripetutamente la certezza incrollabile che l'uomo proviene da Dio, a lui è costantemente proteso e solo in lui può trovare la propria felicità. «Da quanto abbiamo detto - si legge in un brano della Summa contra Gentiles, assai eloquente a questo riguardo -, risulta evidente che nella felicità derivante dalla visione di Dio viene soddisfatto un desiderio umano, secondo l'espressione del Salmista: "Egli sazia con i suoi beni il tuo desiderio" (cfr. Sal 102,5 Volg.); e che ogni umana ricerca trova in essa il proprio coronamento... Perciò è evidente che con la visione di Dio le sostanze intellettive raggiungono la vera felicità, in cui i desideri si acquietano totalmente, e in cui si ha l'abbondanza di tutti i beni che... sono richiesti per la felicità» [12].
Per quanto concerne gli effetti che l'amore produce, Tommaso nota la sua capacità unitiva e trasformante. È infatti l'amore a rendere possibile la realizzazione di quella tendenza naturale in virtù della quale tutto tende ad assomigliare a Dio, ciascuna cosa secondo il proprio grado, come si legge nella Summa contra Gentiles: «Dal fatto che le cose create conseguono la bontà divina, vengono costituite simili a Dio. Perciò se tutte le cose tendono a Dio come al loro ultimo fine, per conseguire la sua bontà, ne segue che l'ultimo fine delle cose è la somiglianza con Dio»13. Mediante l'amore si ottiene la più feconda relazione tra le creature e di queste con il creatore, secondo quanto annota Battista Mondin, riferendosi ad alcune affermazioni contenute nell'opera In IV libros Sententiarum: «L'amore ha come effetto proprio l'unione: esso tende all'unione reale ed è già in se stesso unione affettiva con la cosa amata. L'unione reale che è richiesta dall'amore non è una unione sostanziale... "L'amore non è una unione sostanziale delle cose, ma degli affetti. Per questo non è sconveniente che ciò che è meno unito di fatto, sia più fortemente unito affettivamente; mentre, viceversa, molte cose, che ci sono realmente vicine, ci dispiacciono, e discordano profondamente con i nostri affetti. Però, di per sé, l'amore induce all'unione con le cose amate, nel limite del possibile; e così l'amore divino (l'amore verso Dio) fa sì che l'uomo viva la vita di Dio e non la propria, per quanto è possibile" (III Sent., d. 29, q. 1, a. 3, ad 1). San Tommaso non si stanca di ripetere che effetto proprio dell'amore è l'unione, una unione che pure se rimane sul piano affettivo, tuttavia è una unione intima, profonda, una unione che immedesima e trasforma. È una virtus unitiva, unnexus, grazie a cui "l'amante viene trasformato nell'amato e in certo qual modo convertito in esso" (III Sent., d. 27, q. 1, a. 1)» [14].
L'amore unisce dunque l'uomo ai suoi simili e a Dio, permettendogli di concretizzare una positiva trasformazione che lo conduce verso quelle mete che gli sono autenticamente proprie. A questo riguardo, l'intervento della grazia divina rappresenta un fattore indispensabile per far sì che l'uomo possa operare tale trasformazione, che coincide con una sua elevazione e una sua divinizzazione. Tommaso ribadisce il concetto - a lui particolarmente caro - che il riversarsi della grazia nel cuore umano non comporta alcuno stravolgimento o annullamento dell'indole naturale dell'uomo, bensì una sua purificazione e una sua esaltazione, che vanno a guarire la ferita inferta dal peccato. «L'uomo, nello stato di natura integra, riconduceva l'amore di sé all'amore di Dio, al vero fine, e similmente l'amore di tutte le altre cose. E così amava Dio più di se stesso e sopra ogni cosa. Ma nello stato di natura corrotta l'uomo si allontana da questo a motivo del desiderio della volontà razionale, che, a causa della corruzione della natura, ricerca il bene egoistico, se non venga sanata dalla grazia di Dio. E pertanto si deve affermare che l'uomo, nello stato di natura integra, non aveva bisogno, per amare Dio spontaneamente sopra ogni cosa, del dono della grazia aggiunto alle facoltà naturali, quantunque avesse bisogno dell'aiuto di Dio che lo spingesse a ciò. Ma, nello stato di natura corrotta, l'uomo necessita dell'intervento della grazia che sani tale natura corrotta» [15].
A commento di queste parole di Tommaso, e a conclusione del discorso sin qui svolto, si può sostenere che la dottrina tomista dell'amore, partendo dalla convinzione che sia possibile amare Dio disinteressatamente, in quanto ciò corrisponde a una propensione naturale presente nell'uomo, procede sulla via dell'affermazione della perfetta complementarietà tra amore di Dio e amore di sé, riconoscendo nel primo il pieno e autentico coronamento del secondo, quando l'uomo comprende che la subordinazione al creatore è garanzia della sua realizzazione: «La grazia e la carità infusa - scrive Garrigou-Lagrange - perfezionano e innalzano tale inclinazione naturale della volontà, ma non la distruggono, come l'innesto non distrugge la vitalità dell'albero sul quale vien fatto» [16].
Nella ventesima questione della prima parte della Summa theologiae, Tommaso affronta esplicitamente l'argomento dell'amore di Dio, e in quattro articoli sintetizza la propria dottrina'. Innanzitutto, egli afferma che in Dio v'è amore, in quanto tale potenza è al fondamento della volontà e all'origine di qualsiasi altra facoltà appetitiva. In secondo luogo, ribadisce la certezza che Dio ami tutti gli esseri esistenti. Nel terzo articolo - sulla scia dell'insegnamento di Agostino - precisa che l'amore di Dio conosce gradi diversi di intensità, i più alti dei quali egli riserva al Figlio e alle creature razionali. Infine, conclude con l'affermazione che Dio ama sempre in misura maggiore ciò che è più elevato. Il Dottore Angelico sottolinea inoltre la completa gratuità dell'amore divino, di un Dio che ha voluto comunicare alle creature l'inesauribile positività dei suoi doni: «Dio ama tutto ciò che esiste. Infatti, tutto ciò che esiste, in quanto esiste, è buono: lo stesso essere di ciascuna cosa è un bene, e similmente lo è qualunque sua perfezione. Si è già detto che la volontà di Dio è la causa di tutte le cose: pertanto ciascun ente possiede un grado di essere e di bene corrispondente a quello che Dio gli ha accordato. Dunque, a qualsiasi realtà che esiste Dio vuole del bene e dal momento che voler bene significa amare è chiaro che Dio ama tutto ciò che esiste... L'amore divino crea la bontà delle cose e in esse la infonde» [2].
Dinanzi a questo Dio che lo ama, l'uomo può dimostrare la sua capacità di amore, la quale va in certo modo a coincidere con la possibilità che egli detiene di cogliere il Sommo Bene, ovvero la perfezione. Tommaso collega strettamente, infatti, l'atto d'amore alla presenza del bene: «È necessario dunque che causa dell'amore sia propriamente ciò che ne costituisce l'oggetto. L'oggetto proprio dell'amore è il bene, in quanto, come si è già detto, l'amore implica una sorta di connaturalità o compiacenza dell'amante nei confronti dell'amato... Donde consegue che il bene è la causa vera e propria dell'amore» [3].
Sviluppando le sue tesi sull'amore umano nei confronti di Dio, l'Aquinate contempla, in primo luogo, il problema concernente la possibilità per l'uomo di amare il creatore in modo disinteressato. Era questo un argomento molto vivo nel dibattito filosofico-teologico del tempo, e Tommaso vi si inserisce con particolare impegno e sicura autorevolezza, proponendo una risposta che caratterizza decisamente la sua dottrina, come ha annotato Pierre Rousselot: «Come può l'uomo amare Dio più di se stesso? Rispondere semplicemente che l'uomo riconosce in Dio un bene superiore a se stesso, dal momento che il suo proprio essere non è altro che un'imitazione dell'essere di Dio e un dono della bontà divina, significa sottolineare una differenza che lascia intatto il primato dell'amore di sé... Bisognerà trovare un principio che porti l'uomo a tendere a Dio come bene così spontaneamente, naturalmente, direttamente come tende al proprio bene: tale principio è quello dell'unità... Una realtà è amata in quanto fa un tutt'uno con il soggetto che la ama» [4].
In effetti, Tommaso era stato esplicito a questo proposito, e aveva sostenuto che l'uomo, appartenente naturalmente a Dio, trova in sé un'istintiva predisposizione ad amare Dio più di se stesso [5]: «Il dottore angelico - scrive Garrigou-Lagrange - stabilisce, senza nessuna affinità col panteismo, che qualsiasi natura creata, anzitutto quando è dotata di intelligenza e di volontà, è naturalmente incline ad amare Dio, suo autore, più di se stessa, come nell'organismo qualsiasi parte ama naturalmente l'insieme di questo più di se stessa... Se fosse altrimenti, la nostra inclinazione naturale primordiale sarebbe perversa, il che non è possibile, poiché essa viene da Dio» [6].
Tommaso ha pure la certezza che tutto tende verso Dio e che tutto a lui è ordinato [7]: ciò comporta che ciascun desiderio umano sia riconducibile a tale tensione, cosicché anche ogni manifestazione e volontà d'amore è da considerarsi finalizzata a Dio, secondo quel criterio unitario che accorda pienamente amore di sé e amore di Dio. Per tale motivo, l'amore che l'uomo nutre per se stesso non è altro che una forma di amore per Dio, tanto che si può affermare che l'uomo è naturalmente capace di amare Dio sopra ogni cosa, come si legge nella Summa: «Amare Dio sopra tutto è connaturale all'uomo; e anche a qualunque altra creatura, non soltanto razionale, ma anche irrazionale e addirittura inanimata, secondo il modo proprio di ciascuna» [8].
L'Aquinate si fa dunque paladino di una concezione che tende a superare i conflitti per approdare a una grande sintesi, imperniata sul concetto di amore-amicizia come superamento dell'amore-desiderio puramente egoistico, e come sentimento originario che spinge ogni essere verso Dio. Tale amore-amicizia è la caritas, e consiste nel moto dell'animo che assume per oggetto colui al quale si vuole bene e non il bene che si vuole a qualcuno. Infatti, amare di amore-amicizia significa guardare all'amato per se stesso in modo disinteressato, mentre ciò verso cui si rivolge l'amore-desiderio è amato per un altro, perché si vuol farne il bene di un altro, dunque non è amore in senso pieno [9]. Ciò vale a dire che amare Dio per la propria felicità significa amarlo dí un amore-desiderio, poiché il vero oggetto dell'amore, in questo caso, non è Dio, ma l'uomo che considera se stesso come fine ultimo, e considera invece Dio come un bene strumentale, dunque parziale e non perfetto e infinito. Spiega Umberto Galeazzi: «Considerare il Bene che è Dio come bene proprio significa per l'uomo spezzare la prigionia della propria finitezza, aderendo all'Essere infinito e compiacendosi di Lui. Questa considerazione, implicita nell'amore di amicizia, non è mai così vera come nell'amore verso Dio, in cui è la verità di ogni altro amore. In Dio è il vero bene di ogni creatura, perché in Lui c'è l'esemplare perfetto di ognuno e perché il suo amore creatore che dona l'essere vuole donarci anche il pieno compimento» [10].
Muovendosi in questa prospettiva, Tommaso afferma che l'amore dell'uomo per Dio, lungi dal compromettere la libertà e la piena realizzazione dell'essere umano, costituisce la via necessaria per raggiungere tali mete. Il teocentrismo si rivela in realtà la più autentica forma di antropocentrismo, e l'uomo comprende che non può fare a meno di Dio se non a prezzo del tradimento della sua più intima indole, che è naturalmente orientata verso Dio [11] L'Aquinate palesa ripetutamente la certezza incrollabile che l'uomo proviene da Dio, a lui è costantemente proteso e solo in lui può trovare la propria felicità. «Da quanto abbiamo detto - si legge in un brano della Summa contra Gentiles, assai eloquente a questo riguardo -, risulta evidente che nella felicità derivante dalla visione di Dio viene soddisfatto un desiderio umano, secondo l'espressione del Salmista: "Egli sazia con i suoi beni il tuo desiderio" (cfr. Sal 102,5 Volg.); e che ogni umana ricerca trova in essa il proprio coronamento... Perciò è evidente che con la visione di Dio le sostanze intellettive raggiungono la vera felicità, in cui i desideri si acquietano totalmente, e in cui si ha l'abbondanza di tutti i beni che... sono richiesti per la felicità» [12].
Per quanto concerne gli effetti che l'amore produce, Tommaso nota la sua capacità unitiva e trasformante. È infatti l'amore a rendere possibile la realizzazione di quella tendenza naturale in virtù della quale tutto tende ad assomigliare a Dio, ciascuna cosa secondo il proprio grado, come si legge nella Summa contra Gentiles: «Dal fatto che le cose create conseguono la bontà divina, vengono costituite simili a Dio. Perciò se tutte le cose tendono a Dio come al loro ultimo fine, per conseguire la sua bontà, ne segue che l'ultimo fine delle cose è la somiglianza con Dio»13. Mediante l'amore si ottiene la più feconda relazione tra le creature e di queste con il creatore, secondo quanto annota Battista Mondin, riferendosi ad alcune affermazioni contenute nell'opera In IV libros Sententiarum: «L'amore ha come effetto proprio l'unione: esso tende all'unione reale ed è già in se stesso unione affettiva con la cosa amata. L'unione reale che è richiesta dall'amore non è una unione sostanziale... "L'amore non è una unione sostanziale delle cose, ma degli affetti. Per questo non è sconveniente che ciò che è meno unito di fatto, sia più fortemente unito affettivamente; mentre, viceversa, molte cose, che ci sono realmente vicine, ci dispiacciono, e discordano profondamente con i nostri affetti. Però, di per sé, l'amore induce all'unione con le cose amate, nel limite del possibile; e così l'amore divino (l'amore verso Dio) fa sì che l'uomo viva la vita di Dio e non la propria, per quanto è possibile" (III Sent., d. 29, q. 1, a. 3, ad 1). San Tommaso non si stanca di ripetere che effetto proprio dell'amore è l'unione, una unione che pure se rimane sul piano affettivo, tuttavia è una unione intima, profonda, una unione che immedesima e trasforma. È una virtus unitiva, unnexus, grazie a cui "l'amante viene trasformato nell'amato e in certo qual modo convertito in esso" (III Sent., d. 27, q. 1, a. 1)» [14].
L'amore unisce dunque l'uomo ai suoi simili e a Dio, permettendogli di concretizzare una positiva trasformazione che lo conduce verso quelle mete che gli sono autenticamente proprie. A questo riguardo, l'intervento della grazia divina rappresenta un fattore indispensabile per far sì che l'uomo possa operare tale trasformazione, che coincide con una sua elevazione e una sua divinizzazione. Tommaso ribadisce il concetto - a lui particolarmente caro - che il riversarsi della grazia nel cuore umano non comporta alcuno stravolgimento o annullamento dell'indole naturale dell'uomo, bensì una sua purificazione e una sua esaltazione, che vanno a guarire la ferita inferta dal peccato. «L'uomo, nello stato di natura integra, riconduceva l'amore di sé all'amore di Dio, al vero fine, e similmente l'amore di tutte le altre cose. E così amava Dio più di se stesso e sopra ogni cosa. Ma nello stato di natura corrotta l'uomo si allontana da questo a motivo del desiderio della volontà razionale, che, a causa della corruzione della natura, ricerca il bene egoistico, se non venga sanata dalla grazia di Dio. E pertanto si deve affermare che l'uomo, nello stato di natura integra, non aveva bisogno, per amare Dio spontaneamente sopra ogni cosa, del dono della grazia aggiunto alle facoltà naturali, quantunque avesse bisogno dell'aiuto di Dio che lo spingesse a ciò. Ma, nello stato di natura corrotta, l'uomo necessita dell'intervento della grazia che sani tale natura corrotta» [15].
A commento di queste parole di Tommaso, e a conclusione del discorso sin qui svolto, si può sostenere che la dottrina tomista dell'amore, partendo dalla convinzione che sia possibile amare Dio disinteressatamente, in quanto ciò corrisponde a una propensione naturale presente nell'uomo, procede sulla via dell'affermazione della perfetta complementarietà tra amore di Dio e amore di sé, riconoscendo nel primo il pieno e autentico coronamento del secondo, quando l'uomo comprende che la subordinazione al creatore è garanzia della sua realizzazione: «La grazia e la carità infusa - scrive Garrigou-Lagrange - perfezionano e innalzano tale inclinazione naturale della volontà, ma non la distruggono, come l'innesto non distrugge la vitalità dell'albero sul quale vien fatto» [16].
NOTE
* Nacque nel 1221 da una nobile famiglia laziale, che vanamente si oppose alla sua volontà di vestire l'abito domenicano. Fu allievo di Alberto Magno e insegnò nelle maggiori università europee. Scrisse moltissime opere, tra le quali spiccano laSumma theologiae, la Summa contra Gentiles e il De ente et essentia. Fu un convinto assertore della possibilità di armonizzare fede e ragione; il fulcro della sua grandiosa costruzione metafisica è costituito dal concetto di essere, del quale egli sostenne l'unità, la bontà e la verità. Ritenne che il rapporto tra Dio e le creature fosse di tipo analogico, cioè tale da salvaguardare, a un tempo, la trascendenza divina e la possibilità delle creature di partecipare dell'essere di Dio. Celebri sono rimaste le «prove» da lui elaborate per dimostrare l'esistenza di Dio. Considerò l'uomo naturalmente orientato verso il suo creatore, e vide nella legge naturale inscritta nel cuore di ognuno il fondamento dell'etica. La sua influenza e la sua autorevolezza possiedono un rilievo eccezionale nell'ambito del pensiero di ispirazione cristiana. Morì nel 1274.
1 Cfr. Sancti Thomae de Aquino, Summa Theologiae, Editiones Paulinae, Alba-Roma 1962, pp. 112-116.
2 Ibid., pp. 113-114.
3 Ibid., p. 672 (nostra traduzione).
4 P. Rousselot, Pour l'histoire du problème de l'amour au Moyen Age, Aschendorff, Münster 1908, pp. 10-11 (la traduzione, piuttosto libera, è nostra).
5 Cfr. Sancti Thomae de Aquino, Summa Theologiae, op. cit., p. 286.
6 R. Garrigou-Lagrange, Amore, in Aa.vv., Enciclopedia cattolica, Ente per l'Enciclopedia cattolica e per il libro cattolico, Città del Vaticano / Sansoni, Firenze 1949, coll. 1097-1098. È su questo aspetto-chiave della dottrina tomista che Nygren ha appuntato il suo sguardo critico, sostenendo che l'Aquinate avrebbe tentato di trovare un'impossibile conciliazione fra la tendenza, innata nell'uomo, all'amore di sé e il dettato evangelico che indica nell'assoluto disinteresse la caratteristica saliente del vero amore. In ciò Nygren vede pure una chiara convergenza tra la posizione tomista e quella agostiniana, miranti a delineare «una concezione unitaria del Cristianesimo sotto l'aspetto dell'amore» (Eros e agape, Il Mulino, Bologna 1971, p. 659).
7 Cfr. san Tommaso d'Aquino, Somma contro i Gentili, Utet, Torino 1975, pp. 581-591.
8 Sancti Thomae de Aquino, Summa Theologiae, op. cit., p. 1053.
9 Cfr. ibid., p. 671.
10 U. Galeazzi, L'etica filosofica in Tommaso d'Aquino, Città Nuova, Roma 1989, P. 9
11 Cfr. Sancti Thomae de Aquino, Summa Theologiae, op. cit., p. 286.
12 San Tommaso d'Aquino, Somma contro i Gentili, op. cit., pp. 694 e 696. A proposito del tema della felicità nella speculazione tomista, sviluppa interessanti considerazioni B. Mondin, La pienezza della felicità umana secondo San Tommaso d'Aquino, In Per la filosofia 12 (1995), pp. 21-30.
13 San Tommaso d'Aquino, Somma contro i Gentili, op. cit., p. 585.
14 B. Mondin, Dizionario enciclopedico del pensiero di San Tommaso d'Aquino, Edizioni Studio Domenicano, Bologna 1992, p. 32.
15 Sancti Thomae de Aquino, Summa Theologiae, op. cit., p. 1053.
16 R. Garrigou-Lagrange, Amore, art. cit., col. 1098.
1 Cfr. Sancti Thomae de Aquino, Summa Theologiae, Editiones Paulinae, Alba-Roma 1962, pp. 112-116.
2 Ibid., pp. 113-114.
3 Ibid., p. 672 (nostra traduzione).
4 P. Rousselot, Pour l'histoire du problème de l'amour au Moyen Age, Aschendorff, Münster 1908, pp. 10-11 (la traduzione, piuttosto libera, è nostra).
5 Cfr. Sancti Thomae de Aquino, Summa Theologiae, op. cit., p. 286.
6 R. Garrigou-Lagrange, Amore, in Aa.vv., Enciclopedia cattolica, Ente per l'Enciclopedia cattolica e per il libro cattolico, Città del Vaticano / Sansoni, Firenze 1949, coll. 1097-1098. È su questo aspetto-chiave della dottrina tomista che Nygren ha appuntato il suo sguardo critico, sostenendo che l'Aquinate avrebbe tentato di trovare un'impossibile conciliazione fra la tendenza, innata nell'uomo, all'amore di sé e il dettato evangelico che indica nell'assoluto disinteresse la caratteristica saliente del vero amore. In ciò Nygren vede pure una chiara convergenza tra la posizione tomista e quella agostiniana, miranti a delineare «una concezione unitaria del Cristianesimo sotto l'aspetto dell'amore» (Eros e agape, Il Mulino, Bologna 1971, p. 659).
7 Cfr. san Tommaso d'Aquino, Somma contro i Gentili, Utet, Torino 1975, pp. 581-591.
8 Sancti Thomae de Aquino, Summa Theologiae, op. cit., p. 1053.
9 Cfr. ibid., p. 671.
10 U. Galeazzi, L'etica filosofica in Tommaso d'Aquino, Città Nuova, Roma 1989, P. 9
11 Cfr. Sancti Thomae de Aquino, Summa Theologiae, op. cit., p. 286.
12 San Tommaso d'Aquino, Somma contro i Gentili, op. cit., pp. 694 e 696. A proposito del tema della felicità nella speculazione tomista, sviluppa interessanti considerazioni B. Mondin, La pienezza della felicità umana secondo San Tommaso d'Aquino, In Per la filosofia 12 (1995), pp. 21-30.
13 San Tommaso d'Aquino, Somma contro i Gentili, op. cit., p. 585.
14 B. Mondin, Dizionario enciclopedico del pensiero di San Tommaso d'Aquino, Edizioni Studio Domenicano, Bologna 1992, p. 32.
15 Sancti Thomae de Aquino, Summa Theologiae, op. cit., p. 1053.
16 R. Garrigou-Lagrange, Amore, art. cit., col. 1098.
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