Ogni gruppo era chiamato a riassumere e tradurre in immagini (senza parole) il brano in esame. E' un modo per farli riflettere su un testo divertendosi insieme. E in effetti quello che doveva essere un lavoro di circa 15' è diventato il contenuto dell'incontro (non siamo riusciti a bloccarli!) rimandando alla settimana successiva l'approfondimento dei testi.
Ø Perché Dio ci ha creati?
La Genesi
Il riferimento biblico più noto e importante per parlare di sessualità è
contenuto nel libro della Genesi dove si parla della creazione del mondo e si
chiarisce come nel creato non ci sia nulla, di per sé, di “cattivo”, di
“peccaminoso”. Tutto è creato da Dio e tutto è “buono”: le bestie feroci, i
fenomeni naturali possono essere nocivi, ma mai malvagi. La cattiveria è solo
dell’uomo che possiede la libertà e la consapevolezza del valore morale del suo
agire. Lo scopriamo dietro il racconto della creazione dell’uomo (l’adam, ovvero
l’umanità ancora indifferenziata) e di come (o meglio perché) Dio distingue
l’essere umano in maschio (Adamo) e femmina (Eva). La sessualità è dunque
voluta e creata da Dio: è positiva, “molto buona” e legata all’essere ad
immagine di Dio.
Dio disse: «Facciamo
l'uomo a nostra immagine, secondo la nostra somiglianza… E Dio creò l'uomo a
sua immagine; a immagine di Dio lo creò: maschio e femmina li creò. Dio li
benedisse e Dio disse loro: «Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra
e soggiogatela. (Gen 1,26-28)
Fiumi di inchiostro
sono stati versati per commentare questi versetti. Io mi limito a sottolineare
alcuni punti: il fatto che l’uomo (al singolare) è l’unico essere creato a
immagine e somiglianza di Dio, in quanto libero, capace di vivere in comunione,
di tendere alla perfezione… Quest’uomo creato ad immagine di Dio è creato
maschio e femmina (al plurale): due generi distinti chiamati alla fecondità e
all’unità; due metà che hanno bisogno l’uno dell’altra per trovare pienezza e
senso.
Il secondo racconto
della creazione aggiunge altri particolari:
E il Signore Dio
disse: «Non è bene che l'uomo sia solo: voglio fargli un aiuto che gli
corrisponda». (…) Così l'uomo impose nomi a tutto il bestiame, (…) ma non trovò
un aiuto che gli corrispondesse. Allora il Signore Dio fece scendere un torpore
sull'uomo, che si addormentò; gli tolse una delle costole e richiuse la carne
al suo posto. Il Signore Dio formò con la costola, che aveva tolta all'uomo,
una donna e la condusse all'uomo. Allora l'uomo disse: «Questa volta è osso
dalle mie ossa, carne dalla mia carne. La si chiamerà donna, perché dall'uomo è
stata tolta». Per questo l'uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua
moglie, e i due saranno un'unica carne. Ora tutti e due erano nudi, l'uomo e
sua moglie, e non provavano vergogna. (Gen 2,18-25)
“Non è bene che l’uomo sia solo”: non è
stato creato per la solitudine, ma per la comunione, per l’amore. Per questo lo
crea maschio e femmina, due generi che trovano pienezza e complementarietà solo
unendosi. Reciprocamente l’uomo è per donna e la donna per l’uomo “l’aiuto che gli corrisponde”,
letteralmente “che gli sta di fronte”, grazie al quale io prendo coscienza di
me stesso. Un aiuto che suppone uguaglianza: gli animali possono fare compagnia
all’uomo, ma non possono entrare in comunione con lui. Perché si posa avere un
rapporto interpersonale, l’uomo necessita di un altro simile a sé, che gli
corrisponda e lo completi: la donna è della stessa natura e dignità dell’uomo.
La costitutiva incompletezza della persona è ciò che la rende bisognosa
dell’altro e di Dio. Questa sua “mancanza” è ciò che la spinge a realizzare il
sogno di Dio: sogno di comunione, di amore reciproco che ha in Dio la sua
sorgente e in Lui il suo fine. Dio crea l’umanità in maschile e femminile non tanto (e
non solo) per procreare dei figli, ma perché sperimentino la gioia dell’essere
“un’unica carne”, di essere uniti in
profondità. L’uomo, nel conoscere la donna, esprime la prima parola con
stupore, gioia e meraviglia: “è osso
dalle mie ossa, carne dalla mia carne”! Il Talmud commenta: la donna è
uscita dalla costola dell’uomo, non dai suoi piedi perché debba essere pestata,
né dalla testa per essere superiore, ma dal fianco per essere uguale… un po’
più in basso del braccio per essere protetta e dal lato del cuore per essere
amata.
San Tommaso
ipotizza che i progenitori non ebbero il tempo di unirsi carnalmente nel
paradiso terrestre, perché ne furono presto scacciati a causa del peccato. Ma –
prosegue l’aquinate – se ne avessero avuto il tempo, si sarebbero certo uniti
carnalmente e non – come dicono alcuni – senza piacere, ma anzi con un piacere
molto maggiore di quello che proviamo noi, perché “il piacere è tanto più
grande, quanto più pura la natura e più sensibile il corpo”[1].
Commenta Hadjadj:
L’innocenza non
risiede in un amore disincarnato! Ma, precisa il grande dottore citando S.
Agostino, senza il peccato originale “le
membra avrebbero obbedito come le altre, seguendo la volontà, senza il pungolo
di una passione seduttrice, in piena tranquillità di anima e di corpo”. Più
avanti, aggiunge che l’intelligenza non sarebbe annegata nel ribollire della
libidine, e che questa ragione sopravvissuta, lungi dal raffreddare il piacere,
l’avrebbe sollevato verso una gioia più alta. Questa dottrina della Chiesa è
letteralmente sbalorditiva. Quanti diffondono l’idea che il peccato originale
deriva dall’unione dei sessi si barricano dietro una maldicenza ignorante.
Secondo Tommaso è lecito pensare l’esatto contrario: se Adamo ed Eva si fossero
“conosciuti” in questo purissimo atto carnale, scoprendo la gioia ineffabile di
una comunione senza ombre sarebbero stati immunizzati contro la tentazione
dello spirito impuro[2].
Siamo
stati creati liberi perché Dio avesse qualcuno in grado di corrispondere al suo
amore. E’ quanto afferma Ireneo di Lione: “Dio non plasmò Adamo perché avesse bisogno
dell’uomo, ma per avere qualcuno nel quale deporre i suoi doni”[3]. Ma la libertà si è subito mostrata per l’essere umano un
dono prezioso e pericoloso: siamo liberi di non accogliere e di non
corrispondere all’amore di Dio, liberi di metterlo da parte, di rifiutarlo per
mettere l’amor proprio al primo posto.
Dio
crea per amore
“Dio non plasmò Adamo perché avesse bisogno dell’uomo,
ma per avere qualcuno nel quale deporre i suoi doni”(Ireneo di Lione)[i].
“Perché ci ha
creati Dio?”: così suonava la seconda domanda del catechismo di una volta, e la
risposta era: “Per conoscerlo, amarlo e
servirlo in questa vita e goderlo poi nell’altra in paradiso”. Risposta
ineccepibile, ma parziale. Essa risponde alla domanda sulla causa finale: “per
quale scopo, a che fine ci ha creati Dio”; non risponde alla domanda sulla
causa causante: “perché ci ha creati, che cosa lo ha spinto a crearci”. A
questa domanda non si deve rispondere: “perché lo amassimo”, ma “perché ci
amava”.
Così risponde
alla stessa domanda Youcat, il
catechismo dei giovani del 2011: “Dio ci
ha creati per un atto di amore libero e disinteressato”. E chiarisce:
Quando un uomo ama, il suo cuore
trabocca di questo amore, e vorrebbe condividere la sua gioia con gli altri;
questa caratteristica l’ha ereditata dal suo Creatore. Anche se Dio è un
mistero, coi mezzi umani possiamo pensare e dire che egli ci ha creati per il
suo amore sovrabbondante: egli voleva condividere la sua gioia infinita con
noi, che siamo creature del suo amore[ii].
“In questo sta l’amore: non siamo stati noi ad amare Dio ma è lui che ha
amato noi” (1 Gv 4, 10). Da questo dipende tutto il resto, compresa la
nostra stessa possibilità di amare Dio: “Noi
amiamo, perché egli ci ha amati per primo” (1 Gv 4, 19)
L’intera Bibbia non è altro che
una lunga e appassionata lettera d’amore che Dio scrive all’umanità sua
“sposa”: il libro della Genesi e quello dell’Apocalisse formano come una grande
inclusione, un unico arco che parte da Adamo ed Eva e giunge all’agnello
sgozzato che è lo Sposo apocalittico e alla Sposa celeste pronta per l’incontro
con il suo Sposo. Un arco che dunque unisce una coppia iniziale (protologia) e
una coppia finale (escatologia)[iii].
Nelle Sacre Scritture non ci viene
presentato un Dio come risultato di elaborazioni mentali, ma viene narrato un
Dio appassionato dell’uomo: “Tu sei
prezioso ai miei occhi, hai valore e io ti amo” (Is. 43,4). La Scrittura
celebra l’incontro tra il Creatore e la sua creatura, tra Dio, follemente
innamorato dell’uomo, e quest’ultimo capace di resistere al fascino e alla
bellezza della sua bontà con il tradimento del peccato, che è il rifiuto
dell’amore di Dio nell’infedeltà verso altri idoli. Ma Dio non si arrende mai,
seduce il duro cuore della sua creatura prediletta e non si lascia scoraggiare
da quella negazione di amore che è il peccato. Così il profeta Geremia può
dire: “Mi hai sedotto, Signore, e ho
ceduto alla seduzione; mi hai fatto forza e hai prevalso” (Ger. 20,7).
Seguiamo il ragionamento di Enzo Bianchi:
Dio ci ha creati per avere
con noi una relazione d’amore, per avere davanti a sé qualcuno a cui offrire i
suoi doni meravigliosi – come affermava Ireneo di Lione –, il Dio che il Nuovo
Testamento, dopo il racconto fattone da Gesù, definisce “agápe, amore”
(1Gv 4,8.16), non è soprattutto il partner nella storia d’amore con noi, con
l’umanità? Che storia! Una storia d’amore in cui ci sono misconoscimenti,
tradimenti, conflitti, negazioni; una storia in cui il Dio creatore, il Dio
donatore di tutto si fa mendicante d’amore presso il suo popolo che lo tradisce
e che giunge a prostituirsi, ad avere altri amanti. In questa storia il Dio
creatore è vulnerabile: soffre per l’amore non corrisposto, è frustrato dalle
non risposte del partner amato, è geloso di questo amato così litigioso e
pronto all’infedeltà, un amato che non corrisponde. È una storia in cui ci sono
state le stagioni dell’amore c’è stata la primavera, l’innamoramento; poi la
stagione dell’amplesso, dell’unione dei partner e della celebrazione
nell’alleanza dell’amore; ma poi anche la lunga stagione dell’infedeltà,
dell’aridità dell’amore e delle passioni dell’amato per nuovi amanti[iv].
La storia della salvezza si può dunque leggere come la storia
di come Dio ha amato il suo popolo di un amore insieme quasi umano e
sovraumano.
[1] Tommaso d’Aquino, Summa
Teologica, I, q.98, a.2
[2] F. Hadjadj, Mistica
della carne, 2009, p.68
[3] Ireneo di Lione, Contro
le eresie, IV, 14,1.
[i] Ireneo di Lione, Contro le eresie, IV, 14,1
[ii] Youcat, n.2. Così anche, più sinteticamente,
si esprime il Catechismo della Chiesa Cattolica (293): “Dio non ha altro motivo per creare se non il suo amore e la sua bontà”.
[iii] Cfr. G. Mazzanti in Teologia nuziale e
sacramento degli sposi (a cura di R. Bonetti), Effatà ed., 2003, p.11.
[iv] E. Bianchi, Si
può amare anche senza essere amati, La
Stampa, 01.09.2013
DIO CI HA CREATI A SUA IMMAGINE
Fondamentale è
l’analisi del racconto della creazione dell’umanità riportato in due versioni
differenti nella Genesi. Centrale è l’affermazione “E Dio creò l’uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò: maschi e
femmina li creò” (Gen.1,27).
L’uomo è l’unico essere fatto a immagine e somiglianza
di Dio: la sua creazione segna il culmine all’interno dell’intera opera
creazionale. Ma che cosa significa che
l’uomo è a immagine di Dio? Dio crea una creatura con cui possa parlare e che
lo possa ascoltare: egli decide di creare ciò che può avere una relazione con
lui, che può essere partner di un rapporto, di un dialogo[i].
Davanti a Dio non c’è un individuo, ma “adam”,
l’umanità, il genere umano, tant’è vero che il comando di dominare che gli è
rivolto è al plurale: “Dominino”.
L’umanità viene poi differenziata in maschile e
femminile: due esseri della stessa natura (umana), ma complementari, con una
differenza manifesta che è la sessualità[ii]. In
ciascuno vi è perciò un’unità e nello stesso tempo dualità. C’è unità perché
l’uomo è uno, c’è dualità perché questa unità si differenzia in maschile e
femminile.
Vi è una significativa alternanza tra singolare e
plurale in Gen 1,27: Dio creò l’uomo a
sua immagine, a immagine di Dio lo creò, maschio e femmina li creò.
Un’interpretazione molto diffusa di questo passo vede nella coppia uomo-donna
la realizzazione dell’immagine e somiglianza di Dio. Quindi è la coppia che
porta l’immagine e la somiglianza di Dio ed è la realtà che più si avvicina e
rappresenta Dio.
Il racconto della Genesi prosegue con questo
avvertimento di Dio: “Non è bene che
l’uomo sia solo” (Gen.2,18). Si evidenzia così l’indigenza, il bisogno, la
mancanza che caratterizza l’uomo senza relazioni: l’uomo necessita di un partner
corrispondente e adeguato. La relazione con l’altro è essenziale per la
relazione con Dio.
Commenta Enzo Bianchi:
L’uomo e la donna sono fatti l’uno per l’altro, ma al
tempo stesso l’uomo è un problema per la donna e la donna è un problema per
l’uomo ed è il quotidiano che fa emergere la differenza conflittuale che abita
l’alterità uomo-donna. Questa diversità e questa dimensione conflittuale vanno
assolutamente accettate: la via dell’ibrido, dell’unisex, dell’androgino, che
appare un dato culturale oggi diffuso, è un tentativo di misconoscere questa
alterità che turba e di rimuoverla. Bisogna invece affermare e riconoscere che
uomo e donna sono realmente differenti. Il loro reciproco rapporto non può
conoscere altra via che quella della sottomissione reciproca, non quella
dell’annullamento della differenza e dell’alterità[iii].
Dio che ha creato ogni cosa vi ha impresso
il suo timbro d’origine (e di fine/finalità): Dio è Amore e ogni realtà vive
per amore e per amare. Tutto
ciò che muove l’uomo e lo caratterizza in quanto uomo è l’amore. La sintesi di tutto ciò che Gesù ha
comunicato e ha fatto, la sintesi di tutto il Vangelo è costituita dalla realtà
dell’amore. Da questa realtà, dice Gesù, “dipende
tutta la legge e i profeti”, cioè tutta la Scrittura.
Tutti i comandamenti, in qualsiasi ordine
considerati, vanno sempre osservati e praticati tenendo come prospettiva
fondamentale quella dell’amore. (…) Cristo non propone ai suoi fedeli una legge
composta da tanti commi, propone invece un atteggiamento fondamentale,
radicale, totale, assoluto di
donazione, che è quello dell’amore[1].
Il Nuovo Testamento viene ad illuminare
proprio questa realtà e la vita di Gesù viene a rivelare questa origine e
questo fine (dell’uomo e del cosmo intero), la strada da percorrere per
giungere a tale orizzonte di vita eterna, gli strumenti per superare le
fragilità e le per-versioni -
cioè i sentieri diversi che rischiamo di prendere – i blocchi e le paure.
Gesù
riprende dalla Scrittura il duplice comando dell’amore: un amore a Dio totale
(con tutta la tua vita: cuore, anima, mente e forza) e un amore al prossimo
relativo: ama il prossimo come ami te. Ne conseguiva però che ogni qualvolta ci
si trovava in conflitto tra l’amore per Dio e l’amore per l’uomo, l’amore per
Dio (assoluto) venisse prima del bene dell'uomo (relativo): si doveva
rispettare la legge di Dio anche a discapito dell’uomo che potrebbe soffrirne
(vedi le polemiche sul sabato). Gesù è venuto per correggere questa
deformazione: Dio ci ama e vuole il nostro bene, non il nostro sacrificio o la
nostra sofferenza, tanto meno il sacrificio fatto fare – nel nome di Dio! –
agli altri, la sofferenza imposta agli altri. Con il comandamento “nuovo” Gesù
ci inviterà ad accogliere l’amore di Dio per amarci reciprocamente. Ci chiederà
di fare come ha fatto lui: lasciarci amare da Dio per amare ogni persona.
Una bella sintesi di tutto ciò ce la
offre Enzo Bianchi:
“Amerai
il Signore” (Dt 6,5), un futuro che ha la forza di un imperativo e, nel
contempo, indica un cammino da compiersi, una dinamica e non semplicemente un
comando. “Tu amerai” diventa dunque un compito, una strada da percorrere,
accrescendo la conoscenza di Dio attraverso il suo ascolto assiduo. Come
“camminando si apre il cammino”, così “amando si ama”[2].
nel libro della Genesi dove si parla della
creazione del mondo e si chiarisce come nel creato non ci sia
nulla, di per sé, di “cattivo”, di “peccaminoso”. Tutto è creato da Dio e tutto
è “buono”: le bestie feroci, i fenomeni naturali possono essere nocivi, ma mai
malvagi. La cattiveria è solo dell’uomo che possiede la libertà e la
consapevolezza del valore morale del suo agire. Lo scopriamo dietro il racconto
della creazione dell’uomo (l’adam,
ovvero l’umanità ancora indifferenziata) e di come (o meglio perché) Dio
distingue l’essere umano in maschio (Adamo) e femmina (Eva). La sessualità è
dunque voluta e creata da Dio: è positiva, “molto buona” e legata all’essere ad
immagine di Dio.
Dio disse: «Facciamo
l'uomo a nostra immagine, secondo la nostra somiglianza… E Dio creò l'uomo a
sua immagine; a immagine di Dio lo creò: maschio e femmina li creò. Dio li
benedisse e Dio disse loro: «Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra
e soggiogatela. (Gen 1,26-28)
Fiumi
di inchiostro sono stati versati per commentare questi versetti. Io mi limito a
sottolineare alcuni punti: il fatto che l’uomo (al singolare) è l’unico essere
creato a immagine e somiglianza di Dio, in quanto libero, capace di vivere in
comunione, di tendere alla perfezione… Quest’uomo creato ad immagine di Dio è
creato maschio e femmina (al plurale): due generi distinti chiamati alla
fecondità e all’unità; due metà che hanno bisogno l’uno dell’altra per trovare
pienezza e senso.
Il
secondo racconto della creazione aggiunge altri particolari:
E il Signore Dio
disse: «Non è bene che l'uomo sia solo: voglio fargli un aiuto che gli
corrisponda». (…) Così l'uomo impose nomi a tutto il bestiame, (…) ma non trovò
un aiuto che gli corrispondesse. Allora il Signore Dio fece scendere un torpore
sull'uomo, che si addormentò; gli tolse una delle costole e richiuse la carne
al suo posto. Il Signore Dio formò con la costola, che aveva tolta all'uomo,
una donna e la condusse all'uomo. Allora l'uomo disse: «Questa volta è osso
dalle mie ossa, carne dalla mia carne. La si chiamerà donna, perché dall'uomo è
stata tolta». Per questo l'uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua
moglie, e i due saranno un'unica carne. Ora tutti e due erano nudi, l'uomo e
sua moglie, e non provavano vergogna. (Gen 2,18-25)
“Non è bene che l’uomo sia solo”: non è
stato creato per la solitudine, ma per la comunione, per l’amore. Per questo lo
crea maschio e femmina, due generi che trovano pienezza e complementarietà solo
unendosi. Reciprocamente l’uomo è per donna e la donna per l’uomo “l’aiuto che gli corrisponde”,
letteralmente “che gli sta di fronte”, grazie al quale io prendo coscienza di
me stesso. Un aiuto che suppone uguaglianza: gli animali possono fare compagnia
all’uomo, ma non possono entrare in comunione con lui. Perché si posa avere un rapporto
interpersonale, l’uomo necessita di un altro simile a sé, che gli corrisponda e
lo completi: la donna è della stessa natura e dignità dell’uomo. La costitutiva
incompletezza della persona è ciò che la rende bisognosa dell’altro e di Dio.
Questa sua “mancanza” è ciò che la spinge a realizzare il sogno di Dio: sogno
di comunione, di amore reciproco che ha in Dio la sua sorgente e in Lui il suo
fine. Dio
crea l’umanità in maschile e femminile non tanto (e non solo) per procreare dei
figli, ma perché sperimentino la gioia dell’essere “un’unica carne”, di essere uniti in profondità. L’uomo, nel
conoscere la donna, esprime la prima parola con stupore, gioia e meraviglia: “è osso dalle mie ossa, carne dalla mia carne”!
Il Talmud commenta: la donna è uscita dalla costola dell’uomo, non dai suoi
piedi perché debba essere pestata, né dalla testa per essere superiore, ma dal
fianco per essere uguale… un po’ più in basso del braccio per essere protetta e
dal lato del cuore per essere amata.
San
Tommaso ipotizza che i progenitori non ebbero il tempo di unirsi carnalmente
nel paradiso terrestre, perché ne furono presto scacciati a causa del peccato.
Ma – prosegue l’aquinate – se ne avessero avuto il tempo, si sarebbero certo
uniti carnalmente e non – come dicono alcuni – senza piacere, ma anzi con un
piacere molto maggiore di quello che proviamo noi, perché “il piacere è tanto
più grande, quanto più pura la natura e più sensibile il corpo”[3].
Commenta Hadjadj:
L’innocenza non
risiede in un amore disincarnato! Ma, precisa il grande dottore citando S.
Agostino, senza il peccato originale “le
membra avrebbero obbedito come le altre, seguendo la volontà, senza il pungolo
di una passione seduttrice, in piena tranquillità di anima e di corpo”. Più
avanti, aggiunge che l’intelligenza non sarebbe annegata nel ribollire della
libidine, e che questa ragione sopravvissuta, lungi dal raffreddare il piacere,
l’avrebbe sollevato verso una gioia più alta. Questa dottrina della Chiesa è
letteralmente sbalorditiva. Quanti diffondono l’idea che il peccato originale
deriva dall’unione dei sessi si barricano dietro una maldicenza ignorante.
Secondo Tommaso è lecito pensare l’esatto contrario: se Adamo ed Eva si fossero
“conosciuti” in questo purissimo atto carnale, scoprendo la gioia ineffabile di
una comunione senza ombre sarebbero stati immunizzati contro la tentazione
dello spirito impuro[4].
Siamo stati creati liberi perché Dio avesse qualcuno in grado di
corrispondere al suo amore. E’ quanto afferma Ireneo di Lione: “Dio non plasmò
Adamo perché avesse bisogno dell’uomo, ma per avere qualcuno nel quale deporre
i suoi doni”[5]. Ma la libertà si è subito mostrata per l’essere umano un
dono prezioso e pericoloso: siamo liberi di non accogliere e di non
corrispondere all’amore di Dio, liberi di metterlo da parte, di rifiutarlo per
mettere l’amor proprio al primo posto.
[1] G. Ravasi, Teologia
dell’amore, p.102
[2] E. Bianchi, Raccontare
l’amore, p.25
[3] Tommaso d’Aquino, Summa
Teologica, I, q.98, a.2
[4] F. Hadjadj, Mistica
della carne, 2009, p.68
[5] Ireneo di Lione, Contro
le eresie, IV, 14,1.
[i] “L’uomo
è stato creato “a immagine di Dio”, capace di conoscere e di amare il proprio
Creatore” (Concilio Vaticano II, Gaudium
et spes, 12).
[ii] “L’essere
umano viene creato in duplice forma, maschio e femmina, ovvero due esseri
differenti, ma che sono in stretta relazione tra loro nella complementarietà e
nella reciprocità, condividendo la stessa natura… L’uomo e la donna sono allora
due esseri allo stesso tempo “uguali” e “differenti”, che sono chiamati ad
unirsi, a formare una sola carne, a divenire “uno”, un’unione che non li chiude
in loro stessi (e che non annulla le differenze, ndr!), ma che diviene apertura verso l’altro, verso
un terzo, nella possibilità di creare una nuova vita” (R. Ruffo, Perché Dio è amore, p. 29-30). L’uomo e la donna riflettono l’
“immagine di Dio”, del Dio d’amore Uno e Trino caratterizzato da unità e
diversità, dono e accoglienza reciproca, apertura e fecondità verso l’altro.
[iii] Enzo Bianchi, Adamo, dove sei?, Qiqajon, Bose, 1994, p. 177.
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