Il presidente
americano Barack Obama, celebrando nel giugno 2013 la decisione della Corte
Suprema degli Stati Uniti che ha bocciato la legge federale che definisce
matrimonio solo quello fra un uomo e una donna, commentò: «Love is love»,
«l'amore è amore».
Prima di chiederci
se, come pensa Obama, l'ordinamento giuridico debba offrire un riconoscimento
all'«amore» occorre riflettere su che cos'è l'amore. La questione sembra ovvia,
ma non lo è. (…)
È evidente che
l'ordinamento giuridico non può concedere riconoscimenti istituzionali alla
semplice attrazione sessuale o sentimentale, ma solo a un progetto di vita
insieme, che non nega gli elementi della sessualità e dei sentimenti ma
li integra in un insieme organizzato e strutturato. Precisato questo punto
preliminare - ma non secondario -, la domanda che il presidente Obama pone
retoricamente, perché pensa che la risposta sia ovvia, è se ogni amore che
aspira a un progetto di vita comune sia sullo stesso piano e meriti lo stesso
riconoscimento giuridico. Alla mentalità di cui Obama si fa portatore la
risposta appare inequivocabilmente positiva: «l'amore è amore».
Però nel caso della
bigamia,
della poligamia e dell'incesto lo Stato non concede il suo riconoscimento
istituzionale a quello che pure le parti gli presentano come «amore».
Attenzione: in questi casi lo Stato non risponde alle parti che il loro «amore»
non esiste. (…) Semplicemente, risponde che - «amore» o no - riconoscere tali
progetti di unione comprometterebbe il bene comune della società nel suo
insieme. Basta questo a concludere che Obama ha torto. Non è vero che «l'amore
è amore», se s'intende con questo che dalla presenza di un «amore» discende il
diritto a un riconoscimento giuridico. Se fosse così, anche la bigamia, la
poligamia e l'incesto avrebbero diritto a essere riconosciute, a meno che lo
Stato possa escludere - ma non può - che in questi casi sia presente un
«amore». Non ogni amore ha diritto al riconoscimento giuridico. Né ha un
diritto al matrimonio, così che quello francese del «matrimonio per tutti» è
solo un slogan. Se il matrimonio è «per tutti», perché non per i poligamisti?
È dunque evidente
che l'«amore» non è sufficiente
per creare un diritto al matrimonio, o un dovere dello Stato di riconoscere un
matrimonio. Il matrimonio non è un timbro dello Stato che viene a certificare
il carattere sincero e genuino di un «amore». Nei codici civili i riferimenti
agli elementi affettivi, difficilmente accertabili, sono cauti o inesistenti.
Il matrimonio - il cui nome stesso fa riferimento alla maternità - è il quadro
giuridico che riconosce e organizza le relazioni fra un uomo e una donna nella
successione delle generazioni e nella costruzione di una famiglia. Quando la
Chiesa parla di famiglia «naturale» non intende offendere nessuno, ma solo
affermare che questa nozione di famiglia, giuridicamente rilevante, riposa su
un dato di natura, la differenza sessuale fra uomo e donna - che è davvero
naturale, non culturale come pensa l'ideologia del gender -, e la capacità
della sola unione fra uomo e donna di essere feconda.
Il riferimento alla
natura risponde anche alla
vetusta obiezione secondo cui i cattolici potranno sì limitare i loro matrimoni
a quelli fra un uomo e una donna, ma non potranno imporre questa limitazione ai
non cattolici. Infatti qui si tratta di elementi naturali che la ragione di
ciascuno può riconoscere, non di fede. Argomentando diversamente, qualcuno
potrebbe affermare che i cattolici sono liberi di non praticare la poligamia e
l'incesto ma non possono imporre ai non cattolici di non praticarli. Se
«l'amore è amore» - nel senso in cui chi auspica il riconoscimento delle unioni
omosessuali in tutto il mondo sta interpretando lo slogan di Obama - allora
occorre essere coerenti e apprestarsi a legalizzare anche la poligamia,
l'incesto e ogni altra forma di unione presentata da chi vi è coinvolto come
frutto di «amore». E in effetti c'è già chi si muove in questa direzione. Le
persone di buon senso, dal canto loro, vedono che mettendosi per questa strada
si distruggono la famiglia e la società. Ma per evitare le conseguenze c'è un
solo modo: negare la premessa. Convincersi che non è vero che l'amore, purché
sia «sincero», ha diritto al riconoscimento istituzionale dello Stato. «L'amore
è amore»? Fino a un certo punto[1].
[1] M.
Introvigne, «Love
is love» Ma non è così, 28.6.2013, in
La Nuova Bussola Quotidiana: http://www.lanuovabq.it/it/articoli-love-is-lovema-non--cos-6764.htm
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